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24/11/24 ore

Trieste Sci+Fi Film Festival: le confessioni di Rutger Hauer-Roy, il replicante di Blade Runner



di Vincenzo Basile 

 

L’attore olandese, durante la serata a lui dedicata dallo Sci+Fi Film Festival presso la sala Tripcovich, ha ritirato Il Premio Urania d’Argento conferito dall’omonima collana Mondadori. Ne è seguito una ricco racconto degli eventi che costellarono la preparazione e la messa in scena di un film che, superando  il genere di appartenenza, è collocabile ai vertici della storia del cinema in assoluto.

 

Tanto che 34 anni dopo la sua uscita in sala, la sua riproposizione è ancora capace di riempire grandi sale di entusiasti estimatori. Tra i quali lo stesso protagonista.

 

Hauer: L’atmosfera era straordinariamente elettrizzante. Non mi è mai più successo di rivivere emozioni così forti. A parte Harrison Ford, che era già notissimo per i ruoli ricoperti nella serie di Indiana Jones e nella saga di Star Wars, regista, attori e molte delle maestranze, eravamo tutti a inizio carriera. Nessuno di quelli che lavorano al film avrebbe mai pensato che sarebbe diventato un’opera seminale come è in realtà poi stato.

 

Era un vero piacere andare tutti i giorni sul set; io quasi volavo. Non mi è più capitato dopo. Per esempio con Silvester Stallone, tanto per citare un caso tra vari altri, ho dovuto lottare per arrivare a delle soluzioni condivise, durante la realizzazione deI filmI Falchi della nottedel 1981.

 

In Blade Runner, andò tutto diversamente. Dovetti impegnarmi in tutt’altra direzione, studiando molto il personaggio per renderlo credibile in quello che avrebbe fatto sullo schermo. Secondo Ridley Scott dovevo essere umano più dell’umano ma… senza arrivare al punto da diventare un super eroe alla Superman, per intenderci. Questa era la mia sfida, creare l’illusione di un personaggio che fosse abbastanza forte da convincere il pubblico a credere a ciò che attraversava nel corso della storia.

 

In particolare nella scena finale in cui il replicante Roy salva la vita a Deckard, impedendogli di precipitare nell’abisso dall’alto del cornicione a cui era rimasto appigliato.

 

Solo qualcuno di assolutamente speciale, atipico rispetto alla specie umana, può riuscire a fare una cosa del genere anziché approfittare della sua superiorità fisica e vendicarsi dell’orrore subito. Ecco io sono orgoglioso di essere riuscito a rendere tutto ciò verosimile sullo schermo.

 

Un'altra esigenza di credibilità dell’azione si pose quando, nella scena in cui la tensione e la pressione dello spettatore sono  al culmine, dovevamo girare il salvataggio di Deckard e io chiedevo insistentemente a Scott perché avrei dovuto salvare questo cretino di poliziotto. “Il personaggio di Harrison Ford è talmente morto dentro che non sa neanche quello che fa, di cosa vive; merita di morire! Non ha senso che io lo salvi è contrario a ogni logica umana”. Scott mi rispose “ in  effetti non lo stai salvando,  non è questa la tua intenzione consapevole; si tratta piuttosto di una sorta gesto istintuale”. Questa spiegazione mi fece capire in che direzione stavamo andando creando il film.

 

Ancora, quando Deckard-Ford spara a Roy e lui fa istantaneamente un salto per schivare il colpo, i movimenti sono curati proprio al fine di dare il maggior senso possibile alla realtà di quell’azione.

 

Allo stesso tempo, nella preparazione della scena in cui Roy spacca un muro con la testa, io protestai con Ridley per la poca verosimiglianza dell’azione che mi sembrava eccessiva, da Super eroe; lui rispose “ hai ragione è vero, ma anche se un po’ esagerata è così bella da vedere! Chi se ne frega, è stupenda, facciamola lo stesso”.

 

Prima di passare alle domande voglio raccontarvi una cosa.

 

Era l’ultimo giorno di riprese, per uno sciopero non voluto dagli sceneggiatori ma imposto dai sindacati americani, avevamo un problema che rischiava di far saltare le riprese. Non eravamo in grado di risolvere la definizione della scena finale.

 

Per cui decidemmo di concentrarci sulla scena del mio monologo che però, nell’originale sceneggiatura, era ben più lungo. Dopo alcune valutazioni decidemmo dunque di sintetizzarla al massimo, sostituendola a quella che nel progetto era prevista come la scena della resa dei conti lotta tra me e Deckard.

 

Io inseguivo Deckard chiedendogli di farmi vedere che chi era, di che pasta era fatto, cosa di cui Roy non aveva ancora avuto prova. Ci chiedevamo di cosa aveva paura Deckard visto che non fa altro che scappare? Non era evidente neanche al personaggio. Prendemmo la decisine giusta: chiudere il finale con il mio monologo che, ridotto all’essenziale, rimase nella memoria di tutti come la battuta più brillante e profonda del film.

 

 

Come andò all’epoca il primo contatto con il regista?

 

Fui contattato dall’agente di Scott che mi invitò a pranzo per mostrarmi il soggetto, parlare del mio personaggio e sottopormi il contratto da discutere.

 

L’elemento che mi convinse ad accettare la proposta fu la considerazione che i personaggi dei replicanti, pur essendo dei prodotti dell’ingegneria genetica, fossero spiritualmente molto più evoluti degli umani. Questo fu decisivo per me. Altro fattore determinante fu il fatto che pur non mancando certo di azione, si trattasse di un film accentuatamente introspettivo, con un intreccio ben congegnato nella sua pur evidente profondità.

 

Per l’epoca sarebbe potuto essere classificato un film deprimente, invece la qualità etica che lo sostenne conquistò completamente il suo pubblico e la critica. Senza alcuna concessione a un mercato al quale le Majors erano da sempre attentissime.

 

Contrariamente a quanto si possa immaginare, la lavorazione di “Blade Runner” fu ricca di sfortunate coincidenze e imprevisti: “Nella scena finale avevo avuto io l’idea di tenere in mano una colomba che poi sarebbe dovuta volar via. Chissà, forse perché frastornata dalla pioggia di scena, fece invece solo pochi passi e così il volo fu aggiunto nel montaggio finale. Questo episodio e i molti altri fuori scena che seguirono mi convinsero che i film che incontrano più difficoltà spesso riescono meglio e che quando la vita reale entra nel cinema, può modificarlo. “Blade Runner” non è mai stato un successo commerciale e forse è stato un bene. Probabilmente gli incassi avrebbero distrutto il mito che anche stasera celebriamo”.

 

- Trieste Sci+Fi Film Festival: H.P.Lovercraft, Ray Bradbury, Star Trek, Blade Runner la fantascienza è qui (Agenzia Radicale)

 

 


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