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24/11/24 ore

Rosso Istanbul di Ferzan Özpetek. Tra passato e presente, morte e vita



Rosso Istanbul, il nuovo film di F. Özpetek, ispirato all’omonimo romanzo da lui scritto, è stato girato in lingua turca con un cast di attori turchi: un ritorno dopo molti anni a Istanbul, background di altri due film di successo, come Il Bagno Turco e Harem Suare.

 

Le immagini iniziali del Bosforo scorrono sotto gli occhi del protagonista, lo scrittore Orhan Sahin (Halit Ergenc) che torna a casa nel 2016 dopo un’assenza di 20 anni, richiamato in patria dall’amico d’infanzia, Deniz Soysal (Nejat Isler), divenuto  un famoso regista, che vuol essere aiutato nella stesura del suo primo libro, una sorta di biografia romanzata.

 

Deniz lo ospita nella sua casa rossa sul Bosforo nella quale vive con suo fratello, l’anziana madre, le zie e la vecchia cameriera. Riprendere il dialogo con l’amico dopo tanti anni per Orhan appare difficile fin dall’inizio: Deniz sembra sfuggente e misterioso e una sera improvvisamente scompare.

 

A questo punto il film si trasforma apparentemente in un thriller investigativo, ma in realtà l’indagine non è focalizzata sulla scomparsa di Deniz, ma sull’introspezione psicologica dei personaggi e sulle loro reazioni a fatti del passato e del presente, nonché sulla loro visione della vita e della morte e in particolare dell’amore.

 

Nel cercare l’amico scomparso, Orhan ritrova se stesso, supera un dramma del passato che aveva distrutto la sua famiglia, s’innamora di una bellissima donna, Neval (Tuba Büyüküstün), anche se ella non ha il coraggio di lasciare il marito, conosce Yusuf (Mehmet Günsür), compagno di Deniz, che disperato si suicida per la sua scomparsa, ritrova sua sorella che ancora gestisce un negozio di famiglia e infine ricomincia a scrivere un romanzo dopo tanti anni.

 

I colori assumono un significato simbolico, il rosso accompagna i momenti più intensi e vivi, quelli cupi evidenziano il buio dell’anima. Perfino il mare del Bosforo diventa un simbolo: tentare a nuoto la sua traversata, da una sponda all’altra, significa avere il coraggio di distaccarsi dal passato e affrontare la vita, un coraggio che Deniz non ha mai avuto, preferendo ambiguità tra vero e falso e continua fuga da affetti e luoghi, un coraggio che Orhan invece avrà.

 

 Il vero tema del film è dunque “il coraggio di continuare a vivere” e Özpetek non delude mai lo spettatore sensibile, centrato su sentimenti e introspezioni psicologiche: i primi piani inquadrano soprattutto gli occhi, veri specchi dell’anima in quest’opera in cui gli interpreti sembrano identificarsi con i personaggi e parlare più con gli sguardi che con le parole.

 

Colpiscono la sceneggiatura di F. Özpetek, Gianni Romoli e Valia Santella, la fotografia di Gian Filippo Corticelli e la colonna sonora di Giuliano Taviani e Carmelo Travia.

 

Giovanna D’Arbitrio

 

 


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