Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

23/11/24 ore

Mostra del Cinema di Venezia 2017. L’inaugurazione, le sorprese e le conferme



di Vincenzo Basile

 

Il prologo d’obbligo del Presidente Baratta e del Direttore Barbera, entrambi convinti della crescita artistica oltre che finanziaria dell’Evento-Mostra, quest’anno è stato encomiabilmente breve. A seguire, il capolavoro di Ernst Lubitsch, Rosita (1923), ha sancito la pre-apertura dell’edizione n. 74 della Mostra del Cinema.

 

Restaurato dal MoMA, che l’aveva rinvenuto quando ormai era dato per disperso, il capolavoro misconosciuto del cinema muto è apparso in piena forma di colore (seppia) e contenuti. Nei primi anni ’20 si è già in pieno Star System, Mary Pickford è a pieno titolo l’omologo al femminile di Rodolfo Valentino ed Ernst Lubitsch si è appena imposto come regista da grandi budget.

 

Non inedita la trama del Re donnaiolo che trascura il regno per correre dietro alle sottane del tempo è la maestria del grande regista, sia nella direzione degli attori che nella riprese di raffinata composizione e nella postproduzione tutta, a dare un impatto irresistibile all’opera ancora di immensa godibilità a quasi un secolo dal suo compimento.

 

 

Decisamente meno appassionante l’apertura ufficiale, con Downsizing di Alexander Payne, starring Matt Damon e, tra gli altri, Christopher Waltz, film rivelatosi il prevedibile sfoggio di effetti Disneyani e spreco di riprese decisivamente in eccesso rispetto a quelle che la storia richiedeva. Per risolvere il sovraffollamento, delle risorse e degli spazi nel pianeta Terra l’unica soluzione è rimpicciolire l’umanità.

 

Officiato come humor paradossale, distopia provocatoria, favola ecologista anti Trump, tutto si riduce, pur nell’entità dell’investimento, a operetta per bambini distratti, dato il disperdersi del filo narrativo forse e perfino non troppo chiaro agli stessi autori; almeno questa è l’impressione complessiva ampiamente condivisa dopo la proiezione.

 

È ormai consuetudine dei responsabili dei maggiori festival europei affidare l’Inaugurazione e l’attenzione ad essa rivolta, a questo genere di prodotto; secondo gli organizzatori per attirare audience e dunque profitti sulle manifestazioni ospitanti, la scelta si traduce inevitabilmente in uno svilimento della loro autentica e legittima vocazione: promuovere l’Arte Cinematografica. Non resta che pregare sperando in una futura, auspicabile inversione di tendenza.

 


 

Nico-1988, perla per rockofili D.O.C., cronaca degli ultimi due anni di vita e tour europei della musa di Warhol ai tempi della Factory , cantante dei Velvet Underground, compagna di Jim Morrison, Bob Dylan, Iggy Pop, al secolo Christa Paffgen, morta a 50 anni di malasanità in un ospedale di Ibiza, dove era stata ricoverata per una banale caduta dalla bicicletta. Nico rimane nella memoria dei più come la cantante della prima band di Lou Reed ma successivamente, da solista, fu autrice di almeno un indiscusso capolavoro The Marble Index (1969).

 


 

La danese Trine Dyrholm (Orso d’Argento a Berlino 2016 per La Comune) tra concerti semideserti, uso e abuso di eroina  e il figlio Ari avuto da Alain Delon, mai riconosciuto dal padre e finito in affidamento ai nonni paterni è l’attrice-modella danese che aderisce con un ricercato quanto efficace verismo al personaggio. La prima metà del film si frammenta galleggiando sui troppi dialoghi mentre la seconda riprende fiato e ritmo grazie anche all’energia sprigionata dalle esibizioni live. Regia di Susanna Nicchiarelli classe 1975, al suo terzo lungometraggio.

 

 

Eye On Juliet del canadese di origine vietnamita, Kim Nguyen, con una sceneggiatura sorprendentemente articolata, amalgama le tematiche femminili nel mondo islamico con i flussi migratori in corso, gli abusi delle multinazionali del petrolio con l’uso indiscriminato dei droni non solo sui teatri di guerra ma anche in quelli industriali dei paesi le cui risorse vengono razziate dalle solite, varie Sorelle. Tutto ciò fa da sfondo all’amore nascente tra due giovani su fronti culturali opposti; un sentimento disinteressato, innocente, spontaneo, che li traghetterà oltre i destini dettati dalle loro appartenenze.

 

In Zama, la regista argentina Lucrecia Martel, utilizza lo sguardo degli indigeni per raccontare la colonizzazione spagnola del sud America. All’epoca paradiso di fauna, palmizi e percorsi fluviali di grade suggestione, non solo  grazie alla fotografia di Rui Poças ma anche alla musica di Guido Berenblum, di ambigua  compatibilità filologica, forse polemica  riguardo le contaminazioni tra due emisferi opposti ma musicalmente interdipendenti.

 

 

In serata il primo scatenamento di fans ululanti (sono appostati alle transenne del red carpet dalla prima mattina) all’apparire di Matt Damon, unica star sul tappeto rosso, oltre alla Presidenta del Concorso Annette Bening. A seguire, tra le altre, Jasmine Trinca ancora sfavillante del premio di Miglior Attrice vinto tre mesi fa a Cannes.

 

Oggi The Insult, del libanese Ziad Doueiri è il vero, primo legittimo candidato al Leone in Concorso di questa edizione.

 

Una grondaia che gocciola  nel momento e sulla persona sbagliata finisce in tribunale e da lì scatena uno scontro tra le fazioni opposte conviventi a Beirut. Da una parte quella dei profughi palestinesi in fuga da Israele prima e dalla Giordania poi, dall’altra quella di cristiani maroniti che si sentono invasi e prevaricati dai vicini musulmani. Guerra di religione e  culture nonostante l’ormai lontana cessazione delle ostilità. Il trail-movie diventa contenitore di una riflessione più ampia, che trascende i nazionalismi e le radici identitarie prima che religiose delle comunità di uomini.

 

 

Quanto basta per comporre un approfondimento morale sul significato della sofferenza, la necessità della sua condivisione e sull’essenza del perdono, reso spesso impraticabile dall’umiliazione di chi è stato vittima. Un pacifismo militante, come prassi e non retorica, che demolisce la logica degli schieramenti (religiosi, economici ecc.) che dividono per immergersi nell’umanità comune agli individui. Attraverso la partecipazione.

 

La regia è il montaggio sono complessamente articolati, tra flash back e ritorni, ritmo avvincente e ricco di colpi di scena. Gli attori, al meglio dei ruoli di un film compiutamente corale, sono tutti protagonisti; di rara efficacia narrativa.

 

- 74.sima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia: Nouvelle Vague Italiana? Realtà Virtuale e Netfix prossime frontiere? di V.B.

 

 


Aggiungi commento