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23/11/24 ore

Un affare di famiglia, di Hirokazu Kore’da



Premiato al Festival di Cannes 2018 Un affare di famiglia,diretto da Hirokazu Kore’da, anche in Italia sta riscuotendo successo di critica e del pubblico più sensibile ai temi sociali.

 

Il titolo scelto a livello internazionale è Shoplifters (Taccheggiatori), poiché si fa allusione ai piccoli furti che alcuni personaggi compiono nei supermercati, esseri umani che vivono poveri in un umile appartamento, non uniti da legami di sangue, ma che hanno scelto di vivere insieme.

 

Poveri, ma ricchi di umanità, affrontano la vita, vivendo ai margini di una società indifferente ai loro problemi: Nobuko (Sakura Ando)fa da madre mentre il compagno Osamu fa da capofamiglia (Lily Frankly), lavorando come muratore e rubando anche cibo e oggetti vari nei negozi insieme a Shota (Jyo Kairi) un ragazzino abbandonato e da lui trovato in un’auto parcheggiata, Hatsue Shibata (Kirin Kiki),lasciata dai figli, fa da nonna al gruppo offrendo la sua pensione, Aki (Mayu Matsuoka)è una studentessa che lavora anche in un peep-show, infine c’è Juri (Miyu Sasaki), una dolce bimba trovata da sola in strada, denutrita e maltrattata dai veri genitori.

 

In Un affare di famiglia il regista, pur continuando ad affrontare il tema dei rapporti familiari come aveva già fatto in Little Sister, Father and Son e Ritratto di famiglia con tempesta, sposta tuttavia la sua attenzione dalla famiglia tradizionale unita da legami di sangue, al tema dello stare insieme per scelta.

 

Purtroppo drammi del passato e verità nascoste del presente vengono alla luce dopo la morte della nonna: gli adulti vengono catturati e incriminati. Nobuko, incensurata, si sacrifica addossandosi tutte le responsabilità e così viene condannata a cinque anni di carcere. Shota è affidato ai servizi sociali, Yuri è costretta a ritornare a casa dai genitori biologici che continueranno a maltrattarla.

 

La narrazione, lenta nella prima parte, diventa senz’altro più interessante e significativa nella seconda, affrontando con delicatezza e ironia non solo il tema dei rapporti familiari, ma denunciando anche in modo forte la falsa morale di una società ipocrita dove i più deboli soccombono, in particolare i bambini.

 

“La prima cosa che mi è venuta in mente è stata la frase: 'Solo i crimini ci tenevano uniti'- ha dichiarato il regista in un’intervista - In Giappone, reati quali frodi alle pensioni e incoraggiamento al taccheggio da parte dei genitori sono severamente criticati. Ed è giusto che lo siano ma mi domando perché la gente si infuria tanto per quelle infrazioni minori a quando reati ben più gravi restano impuniti. Soprattutto dopo il terremoto del 2011, non mi trovavo a mio agio con quelli che continuavano a dire che i legami familiari sono importanti. Così decisi di approfondire l'argomento raccontando una famiglia legata dal crimine".

 

Ecco il testo dell’intera intervista dal sito celluloidportraits.com

 

Giovanna D’Arbitrio

 

 


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