La sera di venerdì 9 novembre, e la notte che segue, in un ospedale dell’area nord di Napoli, il “San Giovanni Bosco”, nel reparto di Medicina generale, un’anziana donna del Sri Lanka (era stata ricoverata d’urgenza per un ictus, il 22 ottobre) dopo aver da poco subìto un intervento di tracheotomia, è invasa dalle formiche e giace assopita senza soccorso. Una malata sua vicina ne è impaurita e filma la scena.
Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come, nel primo canto del “Purgatorio”, Dante chiama la poesia.
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POESÌ
di Rino Mele
La donna delle formiche
Nella stanza n.4 di Medicina Generale del “San Giovanni Bosco”,
le formiche si sono impossessate del corpo
di Thila, del suo volto, la gola
aperta dalla tracheotomia.
Le sei esili zampe, le antenne curiose, il loro muoversi
come a stabilire punti intermedi
sempre nuovi, un frenetico fermarsi e ricominciare.
Sembrano, le formiche, misurare il buio di quel corpo
caduto nel burrone di sgualcite lenzuola,
ne percorrono Il volto, intente a suggere, spostare, trasportare irreali
pulviscoli, si fermano
davanti a piccole gocce di sudore - vi girano intorno -
come in un cantiere velocemente ordinato.
Nell'artificiale sonno
in cui torpide immagini e ombre
continuano a salirle accanto, Thila è una pietra sospesa, il suo corpo
è lontano, abbandonato, fortunosamente curato dal lavoro
instancabile di queste formiche che ne percorrono le tenebre e la vita.
Succede anche fuori dagli ospedali, e nelle altre
prigioni surreali della nostra esistenza, di essere soli, ma di Thila ora
si prende cura quella sociale grazia
che gli insetti hanno, e ad altra forza a noi sconosciuta
rimanda, come l'onda che pare fermarsi prima di scrosciare sulla rena
mentre un'altra già avanza, sale in alto, s'incurva e
nel cielo per un attimo - azzurra e chiara - appare.
Le formiche sono tutte insieme, divise e vicine, si muovono
senza sforzo, nel necessario avvicinarsi
quasi fino al contatto delle antenne,
sono un sistema totale, niente sfugge al loro spostare, toccare, trascinare,
per proteggere - senza saperlo - quel grande corpo di donna
(dimenticato in un ospedale):
di Thila, quella mattina, erano ancora custodi
quando stavano per diventarne - qualcuno ripulirà in fretta - elemento sacrificale.
Quanta poca distanza tra ospedale e prigione,
c’è la stessa aggressiva paura dei corpi mal custoditi, estranei
come la spina nella mano
(e invece sono come un chiodo nel legno che tiene fermo
e sorregge ciò che pure ha violato).