Gli USA continuano a installare barriere al confine col Messico. “Go home, go home” ripete Trump, distratto da se stesso. La situazione è sempre più irreale e dolorosa. Quante Americhe ci sono?
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POESÌ
di Rino Mele
Il muro e il respiro che viene meno
Nei fili spinati del confine si graffiano le mani, il volto
i migranti del Messico. Cauti, cercando un varco a El Paso,
a San Diego, intestardiscono ad aspettare.
Mentre l'utero terrificante della fame cerca di riportarli indietro, i soldati
girano intorno alle loro ombre. Insieme ad essi,
i migranti come attori contadini interpretano antiche tragedie.
Davanti alle impenetrabili mura
di Tebe due re fratelli
- e una sola corona - si uccisero: la mano di Eteocle
affonda la spada nel collo di Polinice
morente che spinge la sua
nel petto dell’altro, a cercargli il cuore.
In California, migranti e militari sono sullo stesso confine,
i loro figli continueranno a stare di fronte, scambiarsi di posto nel
rovescio dello specchio (dentro e fuori, Tebe
è lo stesso deserto).
Simile a un Pecos Bill azzimato, Trump ripete l’ordine
di tenere lontana l'America dall'America, s’intestardisce
nel voler fermare gli dei
degli antichi Aztechi, e impedire loro
di passare le immense porte d'aria dei morti.
Ma per tutti (nessuno può tirarsene fuori) c'è un altro
confine, la catastrofe
così prossima del feroce suicidio climatico: migreremo tutti, sci-
voleremo come su pattini maldestri
gli uni sugli altri nei nostri stracci,
dormiremo nelle stazioni delle metropolitane, il cibo sottratto
al nostro vicino negli ospedali scavati in profondi pozzi.
Non abbiamo mai imparato a condividere uno spazio vuoto, tracciando
insieme linee sullo stesso foglio.
Intanto, continuiamo a uccidere, a predare, spinti
dal compulsivo bisogno di deturpare le cose
e l'aria fino a divorare le nostre mani,
se non le riconoscessimo dal dolore. Linee d'infiniti triangoli
segneranno l’allontanarsi furioso
della nostra specie, la paura
di uno sconosciuto incontrato nell'allucinata incertezza
del sonno e sei tu, che non sai tornare.
È un segnale
del precipitare della nostra specie nel nulla,
un avvertimento da decifrare, il sorriso di gesso della fine.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
- POESÌ di Rino Mele. La donna delle formiche