Silvia Costanza Romano, cooperatrice di “Africa Milele”, rapita martedì 20 novembre nel sud-est del Kenya a Chakama, settanta km da Malindi, in un villaggio poverissimo dove ormai era l’unica europea. Ancora non si è certi se a rapirla siano stati i pastori Orma semi-nomadi. Oppure, il gruppo terrorista somalo Al-Shabaab.
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POESÌ
di Rino Mele
Quei pastori che l'hanno rapita sono usciti anche loro dal buio della nostra storia
Where is the mgeni? gridavano in un inglese consumato e in swahili, nel
rombo strozzato delle motociclette, esasperati
di non trovare la preda.
Nel mercato di Chakama, agitavano i mitra che sembravano sparare da soli.
Gli otto banditi catturano Silvia Romano
nella sua piccola casa-scuola, coi loro schiaffi urlati le colpiscono
il volto fino a farla cadere, la legano. Una ragazza di 23 anni,
sarebbe bastato il silenzio per portarla via.
C'è un affresco del Beato Angelico, il Cristo derisodel 1446. Bendato, Cristo
tra le dita stringe una pietra, raffigura l'innocenza
e i morsi della tortura: il Beato ha dipinto le mani dei servi di Caifa,
Sommo Sacerdote, che schiaffeggiano Cristo separate
dai loro corpi.
Gli schiaffi sono la più ignominiosa tortura: il colpito
sente acuirsi il ripetuto dolore
e non può vedere il proprio volto, la parte di sé
più intima ed esposta, fino a morirne. Silvia lavorava
a Chakama, questo minuscolo villaggio del Kenya, con le notti
nere, senza elettricità, indifeso
dalle violenze come un frutto maturo. Faceva parte di “Africa Milele”
da pochi mesi(fino ad agosto
aveva lavorato, sempre in Kenya, con “Orphan's dream”). In quel villaggio, povero
come una ragnatela, era sola, immersa tra quegli adolescenti
cui faceva da maestra, li aiutava a trarsi fuori dalla violenza in cui lei
è precipitata (gli schiaffi, il machete che minaccia
e preme, il disprezzo
per il corpo). Viveva come su un piano inclinato, ad ogni passo
poteva scivolare all'indietro, cadere. Insegnava anche ginnastica artistica e
ora, che è legata e spinta,
forse le serve per liberarsi da quel vuoto quadrato in cui l’hanno cacciata,
diviso all'infinito in sempre più piccoli riquadri, fino a non vederli più.
"L'ironia ti salverà,
ti salverà" aveva scritto, cambiare prospettiva, mettere un diverso
nome al dolore. Legata, la trascinano con sé, fuggono a piedi nella foresta,
intorno a Chakama gli alberi
fitti come una parete che giri intorno a se stessa, è il Tsavo Park,
la foresta viva che moltiplica le sue spire: i pastori vi corrono dentro
come naufraghi e marinai insieme. La foresta ha mille scale, t'inabissi,
le sali, sul soffitto di rami cammini a testa in giù sempre più
in fretta, mentre il pavimento di foglie ti sprofonda e scompare.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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