In questo mese di novembre, nel Sud molte trombe d’aria con inaudite devastazioni. L’aria fredda scontrandosi con correnti d’aria calda e umida hanno generato la violenza di questi fenomeni in una condizione climatica sempre più fuori controllo.
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POESÌ
di Rino Mele
Vortici e trombe d’aria, prove d’orchestra, della fine
In questo novembre sono apparsi alti vortici d'aria, torri,
immani colonne terrorizzanti
verso lo sprofondo, un segnale,
vertigini nel nostro incredulo cielo vuoto. In questo
mese non terminato
sono apparsi i fantasmi concreti sulle dissipate
colline del Sud,
a chiedere conto dell'assassinio feroce
del clima, veste del tempo, maschera che ci viene incontro
la sera, e la notte si perde quando
il rovesciarsi alluvionale
riporta i fiumi nelle sorgive,
mentre i nostri sogni mostrano la propria nudità.
Al centro della città, a Salerno il 20 novembre, nel porto,
un vortice d'aria ha urtato contro venti container,
li ha rovesciati, e alcuni spinti a mare.
A Capo di Leuca ha distrutto
il volto d'una chiesa, poi a Marina Serra,
a Tricase Porto altre irraccontabili violenze,
da finalmente farci pensare
che le devastazioni formeranno - come siepi
di guerra - rebus
notturni, lividi incubi da attraversare.
Non abbiamo mai riconosciuto nel clima
la casa di tutti: conta solo
ciò che ci appartiene, la mano e quello che la mano
contiene, il coltello e il pane (e l'ignominia
sale alle nostre labbra).
Nell'allucinato splendore della fine,
insieme a innumerevoli noi stessi, ci aggiriamo incapaci
di comunicare se non ripetendo
parole già usate per reciproci inganni. La morte collettiva
è così vicina, impareremo forse che la nostra specie
- grumo di schegge violente, caos nella divina equivalenza-
non è ancora riuscita a nascere.
Nel deserto la colpa
ha lo sguardo dell'innocenza morta e la pena
è la vicina memoria di una porta, dipinta di bianco, divelta.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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