Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

26/12/24 ore

POESÌ di Rino Mele. Il muro e il respiro che viene meno



Gli USA continuano a installare barriere al confine col Messico. “Go home, go home” ripete Trump, distratto da se stesso. La situazione è sempre più irreale e dolorosa. Quante Americhe ci sono?  

 

****************************************

 


 

 

POESÌ 

di Rino Mele 

 

Il muro e il respiro che viene meno

 

 

Nei fili spinati del confine si graffiano le mani, il volto

i migranti del Messico. Cauti, cercando un varco a El Paso,

a San Diego, intestardiscono ad aspettare.

Mentre l'utero terrificante della fame cerca di riportarli indietro, i soldati

girano intorno alle loro ombre. Insieme ad essi,

i migranti come attori contadini interpretano antiche tragedie.

Davanti alle impenetrabili mura 

di Tebe due re fratelli

- e una sola corona - si uccisero: la mano di Eteocle

affonda la spada nel collo di Polinice

morente che spinge la sua

nel petto dell’altro, a cercargli il cuore.

In California, migranti e militari sono sullo stesso confine,

i loro figli continueranno a stare di fronte, scambiarsi di posto nel

rovescio dello specchio (dentro e fuori, Tebe

è lo stesso deserto).

Simile a un Pecos Bill azzimato, Trump ripete l’ordine

di tenere lontana l'America dall'America, s’intestardisce

nel voler fermare gli dei

degli antichi Aztechi, e impedire loro

di passare le immense porte d'aria dei morti.

Ma per tutti (nessuno può tirarsene fuori) c'è un altro

confine, la catastrofe

così prossima del feroce suicidio climatico: migreremo tutti, sci-

voleremo come su pattini maldestri

gli uni sugli altri nei nostri stracci,

dormiremo nelle stazioni delle metropolitane, il cibo sottratto

al nostro vicino negli ospedali scavati in profondi pozzi.

Non abbiamo mai imparato a condividere uno spazio vuoto, tracciando

insieme linee sullo stesso foglio.

Intanto, continuiamo a uccidere, a predare, spinti

dal compulsivo bisogno di deturpare le cose

e l'aria fino a divorare le nostre mani,

se non le riconoscessimo dal dolore. Linee d'infiniti triangoli

segneranno l’allontanarsi furioso

della nostra specie, la paura

di uno sconosciuto incontrato nell'allucinata incertezza

del sonno e sei tu, che non sai tornare.

È un segnale

del precipitare della nostra specie nel nulla,

un avvertimento da decifrare, il sorriso di gesso della fine.

 

__________________________________

 

Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 


 

- POESÌ di Rino Mele. La donna delle formiche