Quarantun anni fa, il 16 marzo 1978 in via Fani, a Roma, Aldo Moro è catturato dalle Brigate Rosse, nell’orrendo eccidio della scorta. Stasera, a Polla, nel Vallo di Diano, Antonio Di Nola (Logica Matematica), Emilio Giordano (Metodologia e Storia della Critica Letteraria) e Andrea Manzi (direttore del quotidiano online “Salerno Sera”) analizzano il mio libro Il corpo di Moroedito nel 2001 e ora riproposto in una seconda edizione con Oèdipus. Giovan Battista Piranesi, cui alludo in questi miei ultimissimi versi, ha inciso le sue sedici splendide tavole delle “Carceri d’invenzione” tra il 1745 e il 1750.
POESÌ di Rino Mele
Nella 130 blu di Moro e nell’Afetta che la segue, il sangue, la morte che soffoca
Il muso di cane della stretta cella è come le carceri
d'invenzione di Piranesi, le scale a rovescio, spezzate, corde, sipari, grosse grate, fornici vani.
Tutto inizia un minuto dopo le nove. Moro è nella Fiat 130 blu, seguita dall'Alfetta con altri tre agenti della scorta.
Sul luogo del delitto un'Austin Morris aspetta, ostruisce la strada dove la preda non può scappare. La scena è preparata
come una caccia,
le trappole, le strettoie, le grida, la precisione dei gesti, la luce
che scompare. L'eccidio
dura novanta secondi, il tempo di bere un caffè, mangiare una
brioche al Bar Olivetti, è proprio questo il luogo scelto
per uccidere cinque uomini e prenderne un sesto prigioniero. Il bar era
chiuso anche quel giorno, ma nemmeno questo è certo.
Solo dall'alto si può vedere la scena
per capirne l'astuta geometria, il gusto della cattura, il sangue da spandere come grano sull'aia. C'è una moto, poi scompare, un'Honda
blu con due persone, quella sul sellino posteriore
è col passamontagna. Morucci rompe il vetro sinistro anteriore
della Fiat 130 e insieme a Gallinari spara
dal basso. Dall'altro lato contro l'Alfetta, Fiore e Bonisoli, l'autista Giulio Rivera è subito ucciso, Raffaele Iozzino tenta
di arginare la tempesta che sommerge, cade a braccia aperte come simulasse un volo, l'auto scivola contro quella di Moro,
s'incastra sulla 128 dei brigatisti: la guida Domenico Ricci che tenta disperatamente di liberarla, non riesce
a spostare l'auto per la presenza dell'Austin Morris. In questa deriva
di morte
tre auto correranno da via Fani verso via Stresa: costretto a un fermo precipitare, tenuto basso nella
scheggia d'aria tra i sedili, Moro sarà chiuso
in una cassa, posta in un furgone.
Ancora un’auto, per trovarsi, alla fine, dentro la stretta cella di via
Montalcini - la porta
divelta del nulla - un cunicolo largo un metro, non c'è aria, Lemuri
incappucciati
gli parlano, come in un ospedale di morti, per fotografare lui che, come da una levatrice, è stato appena tratto fuori dal sangue
degli agenti di scorta, illeso,
quasi a farne l'uccisore, creargli la più atroce colpa.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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