Ricordo il giorno in cui, sublime eretica e teologa, Paola Inghilleri (Lettera al teologo, edizioni Ripostes, 2001)con incandescente ardore disse che non esiste il cattivo ma il “captivus”, il prigioniero. Infine, l’episodio di cui parlo negli ultimi versi - come un nodo che rifiuta di sciogliersi - è accaduto lunedì 18 marzo a Utrecht.
POESÌ di Rino Mele
Prigioniero di guerra
Il volto che nel tuo si nasconde,
l'ucciso che ognuno porta nel proprio silenzio, la colpa,
come un solco di lama
sulla pelle, che stiamo sempre a cancellare.
Urtiamo contro quel fantasma: urla, e la sua pena aggiunge
alla nostra memoria.Chi eravamo siamo ancora: la paura della notte,
il freddo nudo, la ricerca di una tana.
La messa a morte del nemico, o di chi ha trasgredito, rimanda sempre
a un confine per il quale hai il diritto di uccidere (o, in tuo nome,
un altro lo può fare). Una linea di biacca in terra
segna la sopravvivenza,
ti muovi sempre contro qualcuno,
lui contro di te.
Le categorie morali
sono anche deformazioni dell’angoscia primordiale
del prendere e dell'esser presi
prigionieri,
come nella caccia l'animale.
Siamo diventati, tutti, consacrati
alla morte, c'è un re
sconosciuto che ha la nostra stessa mano, dice le nostre parole
alla rovescia come sognasse di parlare,
possiamo solo evitare di rispondere, non fare della sua volontà un
dialogo: ci mettiamo di scarto, a lato, sperando di
non essere proprio noi
a saltare in aria
nella successiva esplosione.
Razionalizzata sul tagliere, inscritta nella rosa
cristallizzata del computer, la violenza
ad ogni angolo di strada
risponde ai singulti di un inascoltabile
pianto.
Quando, terrificante, appare, sappiamo di non essere
più l'immagine astratta di noi stessi, il sangue s'ingorga, sentiamo la
dimenticata larva del nostro corpo che
s'allontana.
Intanto a Utrecht per morire è bastato salire su un tram, tre morti
scappati via dalla vita
senza un fruscio, un respiro, lo scomposto affanno.
L’inaudito stupore che resta a chi scompare.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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