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24/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. L'Exsultet cantato dai morti nel Sri Lanka



Sono 350 i cristiani uccisi nel Sri Lanka, il 21 aprile, la mattina del giorno di Pasqua.Riusciamo appena a parlarne,l’orrore si riflette e moltiplica in altri lividi richiami della storia. È un barocco teatro catoptrico la nostra quotidiana esperienza del tempo. Riusciamo solo a esibire l’dentificazione con il giusto sdegno delle vittime, ma abbiamo dentro di noi, ben dissimulati, angoli bui, inattraversabili, una violenza feroce, vile, che dilazioniamo, trasformiamo, mascheriamo e rendiamo accettabile al vicino.

 

                       


    

 

POESÌ di Rino Mele

 

 

L'Exsultet cantato dai morti nel Sri Lanka

 

 

Punge la mano che non la respinge, ha piccole ali di metallo, la morte,

come il corpo della madre, in cui siamo nati, s’apre

e ci contiene.

I terroristi uccidono per morire,

non muoiono per uccidere, noi neghiamo la pulsione di morte

e ce la ritroviamo ogni giorno

nella voce, quando il sonno ci afferra senza poterlo contrastare.

Sulle pedane da ballo,

disorientati,

pensiamo di salvarci scappando, non sappiamo dove,

e restiamo fermi ad aspettare.

Dovremmo forse rinunziare a qualcosa, e chi il coltello

improvviso alza dovremmo rispondere chiedendo di sedersi con noi a

mangiare del pane. Invece uccidiamo

l'ombra che non riconosciamo

e quell'ombra

resta a inseguirci, un piede davanti al nostro per farci

inciampare.

A Negombo, nella chiesa di San Sebastiano l’immagine stravolta del

santo e i morti

gridavano la stessa agonia, il canto non s'era fermato

continuava alto nella navata, le bocche sporche di sangue come le

maschere di un teatro. Gli occhi degli uccisi

s'aprivano ancora, non vedevano niente,

cercavano di continuare quel canto, tutti con in mano il foglietto

dell'Exsultet come le spine

di uno stesso ramo.

Le parole si fermano sulla lingua che urta i denti e s'arrende al palato.

Otto attentati quasi simultanei, le chiese, gli alberghi,

la precisione del male,

i terroristi chiedono alle vittime di non guardare il loro volto per non

dover incontrare

il nostro: l'Occidente

non ha mai saputo parlare senza predare, ora dovremmo

rimparare. Il tempo passato è accanto a noi,

ritorna con altre voci, altro volto, mentre la tecnica aumenta il delirio:

non ci siamo mai vergognati per la notte d'agosto

di San Bartolomeo, nel 1527, quando

nelle tenebre

trasformammo Parigi in un lago, alto di sangue.

 

 

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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

   

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