Sono 350 i cristiani uccisi nel Sri Lanka, il 21 aprile, la mattina del giorno di Pasqua.Riusciamo appena a parlarne,l’orrore si riflette e moltiplica in altri lividi richiami della storia. È un barocco teatro catoptrico la nostra quotidiana esperienza del tempo. Riusciamo solo a esibire l’dentificazione con il giusto sdegno delle vittime, ma abbiamo dentro di noi, ben dissimulati, angoli bui, inattraversabili, una violenza feroce, vile, che dilazioniamo, trasformiamo, mascheriamo e rendiamo accettabile al vicino.
POESÌ di Rino Mele
L'Exsultet cantato dai morti nel Sri Lanka
Punge la mano che non la respinge, ha piccole ali di metallo, la morte,
come il corpo della madre, in cui siamo nati, s’apre
e ci contiene.
I terroristi uccidono per morire,
non muoiono per uccidere, noi neghiamo la pulsione di morte
e ce la ritroviamo ogni giorno
nella voce, quando il sonno ci afferra senza poterlo contrastare.
Sulle pedane da ballo,
disorientati,
pensiamo di salvarci scappando, non sappiamo dove,
e restiamo fermi ad aspettare.
Dovremmo forse rinunziare a qualcosa, e chi il coltello
improvviso alza dovremmo rispondere chiedendo di sedersi con noi a
mangiare del pane. Invece uccidiamo
l'ombra che non riconosciamo
e quell'ombra
resta a inseguirci, un piede davanti al nostro per farci
inciampare.
A Negombo, nella chiesa di San Sebastiano l’immagine stravolta del
santo e i morti
gridavano la stessa agonia, il canto non s'era fermato
continuava alto nella navata, le bocche sporche di sangue come le
maschere di un teatro. Gli occhi degli uccisi
s'aprivano ancora, non vedevano niente,
cercavano di continuare quel canto, tutti con in mano il foglietto
dell'Exsultet come le spine
di uno stesso ramo.
Le parole si fermano sulla lingua che urta i denti e s'arrende al palato.
Otto attentati quasi simultanei, le chiese, gli alberghi,
la precisione del male,
i terroristi chiedono alle vittime di non guardare il loro volto per non
dover incontrare
il nostro: l'Occidente
non ha mai saputo parlare senza predare, ora dovremmo
rimparare. Il tempo passato è accanto a noi,
ritorna con altre voci, altro volto, mentre la tecnica aumenta il delirio:
non ci siamo mai vergognati per la notte d'agosto
di San Bartolomeo, nel 1527, quando
nelle tenebre
trasformammo Parigi in un lago, alto di sangue.
__________________________________________________
Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
Leggi l'intera sequenza di POESÌ