Martedì 25 giugno la Sezione Letteratura, curata da Silvio Perrella, di Napoli Teatro Festival ha realizzato un incontro sulla mia poesia in uno spazio seducente, il Chiostro di Santa Caterina a Formiello, una bella chiesa napoletana tra il Quattrocento - di cui conserva ancora alcuni sapienti stilemi - e il glorioso Cinquecento appena iniziato, nel progetto di Antonio Fiorentino della Cava. A parlare della mia poesia, Silvio Perrella ha invitato due interpreti della cultura italiana più viva, il filosofo Aldo Masullo e il regista Mario Martone. Pensavo di terminare il mio intervento con la lettura dei dieci versi che propongo oggi ad Agenzia Radicale, e che pubblicai nel mio Il silenzio nudodel 2012 in un chiaro libro voluto da Eugenio De Signoribus per le edizioni maceratesi de "La Luna", ma il luminoso intervento di Masullo e la forza evocativa di quello di Martone nel ricordare l'aspra ferma tempesta di Leopardi mi hanno spinto a sostituire i versi sulla colpa del Padre con un altro mio testo, Oltre la siepe il mondo non c’era più, daI dolorosi discorsi, edizioni Sottotraccia, 2003. Quei pochi versi sulla colpa, condizione così inestricabilmente vicina alla scrittura, sono però rimasti come un pegno che, a distanza di pochissimi giorni, ora assolvo.
POESÌ di Rino Mele
Padre nostro che sei nei cieli così lontano
Il Padre che l'ha abbandonato lo schioda piano
dal legno, gli toglie a una a una le spine
le compara coi chiodi, mette in ordine il flagello,
due sferze di cuoio, gli aspri pezzi di ferro,
le corde, la canna con l'aceto, il fiele, guarda
i soldati, gli occhi grigi di Pilato
e, mentre la pioggia fa da parete alla sera e frana
la notte, si mette al posto di suo figlio (Dio
col suo corpo morto) e resta
inchiodato, fino alla fine dei tempi, sulla croce.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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