Le parole portano con sé fascinosi enigmi. Riusciamo a dire sempre meno di quello che esse nascondono, anche quando crediamo di avvicinarci a una necessaria chiarezza. Jacques Derrida usa un’immagine sorprendente (Il monolinguismo dell’altro, 1996, edito in Italia da Raffaello Cortina, 2004): “Tutto ciò che faccio, soprattutto quando scrivo, assomiglia a un gioco di mosca cieca: colui che scrive, sempre a mano, anche quando si serve di macchine, tende la mano come un cieco per cercare di toccare colui o colei che potrebbe dover essere ringraziato per il dono di una lingua, per le parole stesse nelle quali egli si dice pronto a rendere grazie. E anche a chiedere grazia”. Infine, Freud - di cui parlo nei miei versi - è nato nel 1856. Il suo paese oggi si chiama Příbor è nella Repubblica Ceca.
POESÌ di Rino Mele
L’ostinato gridare
Quando la tua voce si ferma sulla riva dell'immagine,
davanti a un muto specchio
ed esci dalla sua simmetria rovesciata è
come lasciassi la casa in cui sei nato, portandotene via
l'ombra
(altre ombre quelle pareti
trattengono).
Conservo la fotografia della casa in cui Freud è nato,
a Freiberg, in Moravia: mi sembra di leggervi una notturna sintesi
del suo lavoro, il tetto
sembra il dorso di un mitilo, il guscio
intatto
di una chiocciola dimenticata,
mentre sette finestre ripetono il buio
nella scansione di un brusìo. Quando esci dallo specchio ripeti
il terrifico
diruparsi dalla nascita
verso quello che rimane, la necessità di vivere, respirare,
la sete, il rischio di soffocare.
Così, impariamo presto che la nostra ombra
fa parte del corpo e,
come l'ombra, il pianto,
il tempo
che perseguita il nostro ostinato gridare e giudica,
condanna, uccide, somiglia alla pioggia
che presto scompare ma ciò che da essa è toccato, anche per
un istante, le appartiene, è il continuo
formarsi dell'onda
inconoscibile, che si rinnova.
Ogni parola è plurale,
si aggiunge al nostro discorso per dire se stessa,
disperde il nostro parlare.
La stanza è vuota, aperta sulla notte,
c'è acqua nel bicchiere con la rosa. Le foglie
verdi, i petali
senza colore, le spine rosse come zampe di colombi.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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