Natale riapre la ferita della nascita.
Nei miei versi lego la notte di Natale a un'altra notte, quella tempestosa in cui Gesù cammina sulle acque del Mare di Galilea. Il capitolo 14 del Vangelo di Matteo ha l'ampiezza e la profondità della storia: l'assassinio di Giovanni Battista voluto da Erode Antipa, poi il grande affresco della moltiplicazione dei pani e dei pesci, infine, ma ormai la notte s'avvicina, Gesù che sale sulla montagna per pregare, dopo aver chiesto agli apostoli di passare con la barca all'altra riva del Mare di Galilea: ma c'è tempesta, navicula fluctibus iactata. Nel nero della notte, Gesù li raggiunge camminando sulle onde, e sembra un fantasma.
(Questi miei 42 versi - appena scritti - la cittadina universitaria di Fisciano pubblica in questi giorni sui muri delle sue strade, insieme a un disegno di Franco Longo).
POESÌ di Rino Mele
Notturno Natale
È l'unica festa dell'infanzia. I bambini si scontrano
con l'enigma che li tortura,
il problema ostile
che non riescono a risolvere
ma solo a dimenticare, la nascita,
l'ignoto
di cui continuamente vorrebbero parlare: il presepe è il gioco
che ad essi è negato,
vorrebbero spostare i pastori,
i magi costringerli ancora ad andare,
dirupare le pecore, mettersi al posto del Piccolo Gesù, dipingere il cielo
di un diverso colore, immergerlo
nella notte vera che essi conoscono (e gli altri hanno dimenticato).
Dalla storia di Betlemme imparano quello che già sanno: si nasce nel
freddo e nel fango, in un luogo improprio, tra grida
lontane che loro possono ancora riconoscere.
Presepe significa
recinto chiuso, i pali messi in croce a fermare il vicino,
luogo dove nascondi ciò che proteggi,
ed è l'unico segno
d'amore
che l'uomo sa dare. Poi, al più povero dei triangoli (un uomo una donna
e un bambino)
non resta che un lungo cammino, un fuggire continuo,
piangere
per le troppe morti in quel freddo
che punge l'inverno.
Come tutti i bambini, Gesú
non sapeva d'essere nato: è la spuma dell'onda
che, come tutto l'umano, appare mentre nello stesso mare
che l'ha generata scompare.
Una notte, sul Mare di Galilea camminerà senza affondare: i discepoli
fermi sulla piccola barca,
il cielo che s'abbassa
e la spinge con un dito: la notte è il profondo
che verso la loro paura risale, uno chiede a Gesù di raggiungerlo,
fare di quel pavimento d'acqua la superficie
da camminare, il rovescio della vita, corrergli incontro a testa in giù
nel naufragio
e la sua rovina. È Pietro, ha paura, gli sembra che due mani lo tirino, a
strappi,
verso lo scosceso errare del fondo del mare.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud, ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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