Il 16 marzo 1978 Moro e i cinque agenti della scorta sono sterminati a via Fani dalle Brigate Rosse. La morte di Moro, prigioniero, è dilazionata di 55 giorni. Sarà ucciso all’alba del 9 maggio. I versi del testo La bicicletta di Moro sono una delle venti stazioni del mio Il corpo di Moro, pubblicato nel 2001 da 10/17 (la seconda edizione è del 2018 con le edizioni Oédipus). Il corpo di Moro, primo premio DeltaPoesia 2002, è stato rappresentato al Teatro Verdi di Salerno e al Teatro Il Vascello di Roma per la regia di Nuccio Siano dal gruppo teatrale Porta Nova e Beat 72.
POESÌ DI RINO MELE
La bicicletta di Moro
Sul letto un lenzuolo, una coperta militare,
vorrebbe camminare, piano,
ad Ostia, sentirsi i piedi scalzi bagnare
dall'onda che stordisce, e risale
il suo petto scavato, il ventre intristito, le mani
lunghe come sciogliesse un nodo
che non si lascia slargare. Quale tortura
dormire le notti di maggio di quel suo ultimo
anno. Si distendeva piano,
chiudeva gli occhi e come un ciclista
pensava la sua vita, una salita impervia,
la bicicletta ferma, l'ansimo di uno stentato
respirare, quell'asma
pungente che travaglia il respiro, quasi il mare
dall'alto stesse per precipitare. Sognava
un muro di pietra, la pagina
di un abbecedario sporca d'inchiostro, i colori
sbiancati, "b" è la bandiera,
"r" la rivoluzione, "c" la canzone,
ma non riesce a ricordare
i versi di nessun canto, sente solo un lamento,
i poliziotti uccisi, la madre, il vento
che urla le scale. Ricordava i volti e li vedeva
morti, i potenti sembravano risorti
alla rovescia, la testa in giù, le braccia
aperte, le lunghe radici dei piedi, il guizzare
stanco. Dormiva in una folla
vestita di nero, gli uomini calvi, le donne
dai capelli rossi, i bambini
di plastica sepolti. Sentiva il suo corpo
diviso, distratto in più parti, il capo
posto sul cuscino, le braccia
per terra, il cuore stretto tra le mani
che spremono il sangue in un bicchiere.
Poi, svanendo
si ricompone, le gambe sono la figlia Anna
a destra, e la sinistra è Agnese (quella
del cuore), le braccia
tornano leggere al loro posto, il collo regge
la testa distrutta dalla sabbia, la voce
è un sibilo lieve di uccelli. Ora
è fermo. Dal sonno in un più duro sonno,
di margine in margine
annega come pioggia che in altra si perde.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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