Giorgio Caproni in una conferenza del 16 febbraio 1982 che ha per titolo "Sulla poesia", tenuta a Roma al Teatro Flaiano, disse queste sorprendenti parole: "Il poeta è un minatore, è poeta colui che riesce a calarsi più a fondo in quelle che il grande Machado definiva las secretas galerías de l'alma. E lì attingere quei nodi di luce che sono sotto gli strati superficiali, diversissimi tra individuo e individuo, comuni a tutti, anche se pochi ne hanno coscienza". Molto vicino a quanto aveva detto Ungaretti: che la parola di poesia "scaturisce dall’abisso”.
POESÌ DI RINO MELE
Lo scuro silenzio della poesia
Dall’inesprimibile ci stacchiamo nascendo. Resta per sempre
l’urgenza
di scambiare il nostro volto con la terrificante bellezza
del feroce richiamo.
Coi suoi piedi leggeri
sul ritmo delle parole - le povere
rime - la poesia cerca la pena di quel suono,
fa un passo, si ferma,
tace, riprende a danzare
come tra i morti, quando possono ricordare.
Un faticoso
tornare è la poesia,
quel doloroso cercare
gli stagni notturni, il mare di nebbia della violenza da cui
immemori
siamo nati. Risalire
fino alla sorgente
sigillata dal nero silenzio.
Poesia è sfuggire alla parola consumata,
non il complice ascoltarsi, ma dire
lo strazio
di pensare, farsi male
nell'avvicinarsi alla più interna voce di quel buio
che vorremmo dimenticare.
Poesia è tornare dove non c'è riparo dalla colpa,
in una pianura di neve,
andare, pensando
di essere morti, incontro a chi ti assale, continuare
a dissigillare il silenzio in altre
tenebre
dentro cui aspramente qualcuno
ti guida: sei tu
con la voce di tuo padre ancora in vita.
(Come l'acqua si dirupa, secondo la forza che la stringe
e disperde,
la vuota maschera quotidiana dice un incerto
pensiero che sembra nascere dalla voce,
come quando l'ombra
precede il corpo che la produce).
Legato alla nascita, il poeta trattiene
le ferite
di quelle scale che ripercorre al contrario,
stretto dalla bocca materna
che l'azzanna, inseguito dall’ascolto del proprio pensiero.
Scrive
secondo un ritmo penitenziale, perché non c'è scampo al male.
Il fischio ossessivo del merlo
che il cacciatore uccide sul burrone.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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