“Se essi tacciono grideranno le pietre” dice Gesù nel Vangelo di Luca (19, 40). È il capitolo che segue l'entrata gloriosa in Gerusalemme: leggendo avvertiamo d'essere sull'orlo di un cratere, il tempo dell'uccisione di un innocente. Ed è un delirio cui non ci si può sottrarre, ogni volta che questo avviene.
"Grideranno le pietre" è anche il titolo di un libro di taglienti versi di Ildebrando Priore, pubblicato nella seconda metà degli anni Quaranta, e che lessi allora, fu uno dei primi libri di poesia che, bambino - la guerra appena finita - ebbi la ventura di avere tra le mani.
Infine, il riferimento a Giotto: nella cappella degli Scrovegni il magnifico affresco di Gesù che entra a Gerusalemme benedicente su un asino e la gara della folla nel glorificare il suo cammino.
RINO MELE
UN ASINO PER ENTRARE A GERUSALEMME
Un puledro all'inizio del racconto. Poi, inizierà la Passione, essere
scorticato nel dolore, come quando la corda
s'attorciglia, si spezza
e tu non puoi fermarti dal precipitare,
il secchio sbatte contro le pareti del pozzo, cadi
attaccato alla fune che t'è rimasta in mano e, urtando
le pietre taglienti del nero
sprofondo, credi di risalire, tanto non ha fine quel finire.
Su quel puledro, nella sua piccola apoteosi, Gesù
entra a Gerusalemme, la folla lo acclama,
a gara stendono mantelli e verdi
scialli perché gli zoccoli del puledro trovino più agevole
cammino. Giotto lo dipinse grigio col muso bianco, e sul dorso Gesù
come un trionfatore, che sa il dolore,
la sconfitta, l'inutile
clamore. Con l'ironia terrificante di un Dio, sceglie
quel modo strano d'entrare in una superba città dove sa di
morire: il puledro
si meraviglia di non sentire alcun peso, vorrebbe galoppare, tra tutte
quelle braccia che gli corrono incontro
nel tripudio della festa.
Da bambini giravamo le strade con le braccia cariche di piccoli rami
d'ulivo, esausti
di correre nel sole d'aprile e gridare, sentivamo le campane rincorrerci
e sembrava un mare
che ci riprendeva nella nostra dimenticata felicità. San Matteo
dice che quel giorno tagliarono i rami e li posarono a terra come una
simulata selva in cui Gesù si trovò a passare,
Marco racconta che fu un irrefrenabile
agitare di rametti, ramoscelli,
le bandierine verde e argento delle foglie, per Giovanni
non furono rami d'ulivo
ma quelli larghi delle palme e sembravano ali. Gli gridavano Re,
Figlio di Davide, lui non si scherniva,
sentiva una diversa pungente corona sul capo.
Quel giorno a un fariseo che gli rimproverò quelle parole,
rispose: "Se essi tacciono
saranno le pietre a gridare". Tra apoteosi
e umiliazione
portava il suo corpo verso il tempo di lasciarsi legare a una croce.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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