I miei, così essenziali, versi di oggi (a differenza di quelli settimanali, che sono stati appena scritti quando li spedisco a Geppy Rippa e ad Agenzia Radicale) li ho pubblicati nel 2003 nel mio libro di poesia I dolorosi discorsi, editi da Sottotraccia. Ma sono così vicini all’angoscia di questa crisi che ha violato tutti, e all’irriconoscibilità in cui siamo caduti, dalla quale ancora non siamo salvi.
RINO MELE
Gli appestati
-Sei ancora qui ad aspettare?
L’uomo dagli occhi rossi
è stretto al suo giornale: -Mi toccherà
dormire su questi cumoli sporchi
di neve-. Intorno ci sono guaiti, fruscii,
una radio parla di pipistrelli,
travi bruciate. Con il bastone
il cieco disegna un cerchio,
le molte linee dei raggi,
un bambino dondola una barca, lega
una corda alla
prua, inutilmente la tira verso riva.
Poi una processione,
l’uomo dall’organetto, il cane fermo
al limitare. Dalla stazione
non esce più nessuno, il freddo ferma
i gesti, il cerchio
lo riempie il vento. La donna ora dorme,
ha le gambe fasciate
di garza, l’uomo guarda il suo volto,
una pianura, gli occhi come piccoli pozzi.
La Notte stende le funi
intorno, sono ancora seduti a parlare,
questo freddo
che non finisce, lei sogna il treno,
i finestrini abbassati, il giovane ferito
che torna
morto, la scontrosa allegria del risorto.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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