Infiniti i livelli di violenza, aggressività, oppressione dell’altro. Quasi non sapessimo fare altro che mentire e violare. Ci siamo così assuefatti da non cogliere più l’assurdità dell’ingiuria, la pena. Per difenderci ci appaghiamo di una spiegazione, pronti a giustificare, a razionalizzare il torto, l’ingannevole oltraggio. Anestetizzati dalla nostra inevitabile complicità di vittime, e dal dolore, finiamo con l’accettare l’ineluttabilità del male.
RINO MELE
Dovunque si nasconde la guerra
Come una lunga vite da falegname
che tenga insieme superfici di legno sovrapposte
in un eccentrico girare (o le parti
di un pane che nessuno
riesce a prendere senza farsi mordere
le mani e graffiare).
Dovunque si nasconde la guerra. Le città
sono anche il carcere, l'ospedale, il reparto di contenzione
per il folle, la casa di fronte dove un corpo
strazia un altro
e il suono aspro di una radio copre l'urlo che rimane. Tra
muri sempre uguali si consuma
il dolore di esserci,
nella lingua aspra dell’animale che, una notte, col muso
di tenebre ti s’è accostato, e non t’abbandona più.
C’è sempre un fantasma, il particolare disegnato di un’ombra
sospesa a minacciarci, e può toglierci quello che
non abbiamo.
Su questa gelosia
la piccola rete delle nostre dita s'intreccia, sempre
più stretta, ci soffoca, spinge a limitate
strategie predatorie,
ti rubo gli occhi, tu la speranza, un altro a entrambi l’aria.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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