Oggi è il primo maggio. La classe operaia progressivamente ha perso la voce e il volto, sostituita da uno sconfinato sottoproletariato, variegato, disunito e violato, alcuni arrivano all’agiatezza ma restando sempre al di qua del lavoro come progetto e passione: un sottoproletariato che si è esteso tanto da alludere a uno spazio universale nelle cui sabbie anche i ricchi finiranno con affondare.
Quando ho scritto i 22 versi della poesia che oggi pubblico su Agenzia Radicale c’era ancora un’ombra concreta della classe operaia, ma quella vera, diseredata (e riconoscibile) era l’altra e di essa parlo in quei 22 versi, di coloro che erano - e sono - dietro lo steccato. Pubblicai questi versi nel marzo 2000 nel mio “Il sonno e le vigile”, edizioni Sottotraccia.
Rino Mele
Dietro lo steccato
Maggio ha un muso di volpe, i colori
acuti dei fagiani, l’aspra forza
(a precipizio) dei falchetti, Maggio
s’apre come il pudore
di una donna all’amore (i rituali nel
desiderio di uno sguardo),
Maggio è l’affanno
di chi lavora, le mani a pugno,
un cielo di sassi, il bagnarsi insieme
nella stessa canzone. A questo
sognato animale (femmina di cinghiale,
dolcissima volpe,
vulpecula) manca la coda, le stelle
trascinate dalla notte, il grido
prima di annegare: per i dimenticati
della terra non c’è festa, non canti,
non mani che stringono
con allegra morsa altre mani,
le scarpe di foglie
e di fieno. E’ il lutto di chi resta
dietro lo steccato
tra i senza nome, accecati a guardare.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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