Il tempo è l’enigma più profondo, potrebbero risolverlo solo quelli che non lo subiscono più, ma i morti non s’interessano più a questioni così scolastiche.
RINO MELE
Il tempo che viene è già venuto
Da lontano c’insegue il tempo correndoci incontro:una
grande rete che dalprofondo
cattura.
Dante vede risalire le anime
dai cieli del Paradiso dove i corpi beati hanno recitato
per gioco
quello che, sciolti nella luce, ricordavano del buio, l’orrore
di una vita in cui
il male inevitabile intrecciava le nostre dita.
E sembra neve
che salga al contrario
verso l’ultimo cielo di cristallo per giungere al lago
senza fine,
al fiume che circonda se stesso, mare
che s’apre nelle altissime
onde di una rosa.
Il cielo cristallino è fuori da qualsiasi luogo e dentro ogni cosa,
"nonha altro dove
che la mente divina": dal concreto pensiero di Dio
nascono le radici del tempo,
quell’albero
i cui rami si stendono verso il basso: al contrario
del salire
delle anime. Non possiamo ripararci dalla
tempesta della geometria
che Dante racconta, mentre l’enigma si ripete, chiasmi
e frecce
a mostrare come, salendo, continuiamo a precipitare.
Anche il tempo
- sembra dirci nei suoi versi - è quel
tornare, non il lontano andare verso una meta che abbiamo,
scordandocene, superato.
L’abbiamo urtata,
è rimasta capovolta come un segnale
abbandonato su una strada, su cui non sapremo ritornare.
Dio gioca con noi fermi
nel pensiero di un pittore, come
nella tempesta di una marina foresta la balena e il leone.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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