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20/06/25 ore

POESÌ di Rino Mele. Il sacrificio dell'innocente



In L’esperienza interiore, 1943, Georges Bataille scrive che il poeta non può raggiungere la pienezza della sua condizione se non attraversando la terribile esperienza di sacrificare se stesso alla parola, e la parola alla sua pura essenza. 

 

Il poeta che non sacrifica se stesso e non si nega come soggetto perché la poesia rifulga compiutamente, fa solo, suggerisce Bataille, commercio di parole

 

 

 

  

RINO MELE

 

 

 

Il sacrificio dell’innocente

 

 

Uccidere per compiacere Dio: immersi 

in quel sangue, il vino

scuro 

che attraversa le nostre vene, 

ripetiamo l’orrendo gioco, giustificandoci.

Anche la guerra è un insensato 

sacrificio, 

alzare il braccio contro un volto, le dita chiuse 

sulla pietra levigata: il fiume 

chiede di tornare, 

correvamo da ragazzi nella stessa acqua che 

da vecchi vediamo scorrere. 

Chi uccide porta su di sé il sigillo d’aver 

ucciso, il sorriso fatuo del morente, 

lo strazio di quel volto nel dire 

il suo orrore. Camminiamo su una 

superficie di vetro, sotto di noi 

c’è una folla di morti 

senza nome 

che chiedono il nostro sangue per sentire, 

ancora, il brivido feroce dell’alba. 

Fuggevole visione è la vita,

non puoi uscirne se non 

morendo, l’angoscia 

trasformata 

in altro sonno, l’estatico fermare il respiro: 

gli animali pensano senza parole, nel loro 

urtare il dolore. 

Nel ripetuto riconoscere il suono 

della violenza,

contiamo sulle nostre dita 

le cose che vediamo, tra esse non c’è 

mai 

il nostro volto: 

vorremmo incontrare noi stessi, per dirci 

di non temere, perché tra poco 

tutto finirà: ma, se 

davvero niente finisse, e continuassimo 

anche dopo a penare, 

predatori morti, chiusi in macchine 

di tortura, le cui porte danno tutte 

nel vuoto? 

Qualcuno parla nella stanza accanto, 

gli urliamo di dire il suo nome, risponde 

con le dita sulla parete, forse 

un richiamo, 

i segni di un alfabeto che non conosciamo, 

l’oncomouse 

è un topo trasformato in dolore registrato, 

misurato, 

il battito che raddoppia il suo terrore, 

minotauro nel piccolo labirinto 

in cui ci miniaturizziamo guardando: 

ti sposti correndo verso destra, 

costretto 

a tornare indietro, cerchi scampo 

dirupandoti,

e ti ritrovi di nuovo in alto, a precipitare. 

Arrivato alla fine del percorso, c’è 

una chiusa parete 

dovunque 

ti volga, non puoi più sfuggirti.

 

 

 _________________________________ 

 

 

Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

Leggi l'intera sequenza di POESÌ

 

 

 


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