In L’esperienza interiore, 1943, Georges Bataille scrive che il poeta non può raggiungere la pienezza della sua condizione se non attraversando la terribile esperienza di sacrificare se stesso alla parola, e la parola alla sua pura essenza.
Il poeta che non sacrifica se stesso e non si nega come soggetto perché la poesia rifulga compiutamente, fa solo, suggerisce Bataille, commercio di parole.
RINO MELE
Il sacrificio dell’innocente
Uccidere per compiacere Dio: immersi
in quel sangue, il vino
scuro
che attraversa le nostre vene,
ripetiamo l’orrendo gioco, giustificandoci.
Anche la guerra è un insensato
sacrificio,
alzare il braccio contro un volto, le dita chiuse
sulla pietra levigata: il fiume
chiede di tornare,
correvamo da ragazzi nella stessa acqua che
da vecchi vediamo scorrere.
Chi uccide porta su di sé il sigillo d’aver
ucciso, il sorriso fatuo del morente,
lo strazio di quel volto nel dire
il suo orrore. Camminiamo su una
superficie di vetro, sotto di noi
c’è una folla di morti
senza nome
che chiedono il nostro sangue per sentire,
ancora, il brivido feroce dell’alba.
Fuggevole visione è la vita,
non puoi uscirne se non
morendo, l’angoscia
trasformata
in altro sonno, l’estatico fermare il respiro:
gli animali pensano senza parole, nel loro
urtare il dolore.
Nel ripetuto riconoscere il suono
della violenza,
contiamo sulle nostre dita
le cose che vediamo, tra esse non c’è
mai
il nostro volto:
vorremmo incontrare noi stessi, per dirci
di non temere, perché tra poco
tutto finirà: ma, se
davvero niente finisse, e continuassimo
anche dopo a penare,
predatori morti, chiusi in macchine
di tortura, le cui porte danno tutte
nel vuoto?
Qualcuno parla nella stanza accanto,
gli urliamo di dire il suo nome, risponde
con le dita sulla parete, forse
un richiamo,
i segni di un alfabeto che non conosciamo,
l’oncomouse
è un topo trasformato in dolore registrato,
misurato,
il battito che raddoppia il suo terrore,
minotauro nel piccolo labirinto
in cui ci miniaturizziamo guardando:
ti sposti correndo verso destra,
costretto
a tornare indietro, cerchi scampo
dirupandoti,
e ti ritrovi di nuovo in alto, a precipitare.
Arrivato alla fine del percorso, c’è
una chiusa parete
dovunque
ti volga, non puoi più sfuggirti.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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