di Silvia Siniscalchi (iconfronti.it)
Nel mondo multipolare e frammentato di una globalizzazione dagli esiti incerti, tra progresso tecnologico e catastrofe ambientale, scontro di civiltà (Huntington) e fine della storia (Fukuyama), democrazie imperfette e nuovi autoritarismi, l’Europa, a fronte di una crisi generale, con migliaia di profughi provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente, naviga a vista. Un (dis)orientamento che evidenzia più che mai l’assenza di un’ottica politica comune degli stati UE e la loro tendenza a ragionare secondo prospettive “particulari”.
Prospettive che Altiero Spinelli aveva acutamente previsto già nell’immediato dopoguerra, considerando i governi nazionali democratici strumenti e, al tempo stesso, ostacoli per un’Europa veramente unita, perché fondata su libere e democratiche decisioni e, insieme, sulla crisi dello stato-nazione, strutturalmente incapace di affrontare i problemi fondamentali dello sviluppo economico, del progresso democratico e della sicurezza sulla base della sovranità nazionale. Ma gli Stati dell’Unione Europea, anche se intrinsecamente “doppi”, sono oggi parte di una realtà economica che, sebbene non riesca a diventare realmente politica, non può andare cestinata.
Tanto più perché alla sua esistenza si lega quella dell’Italia, un paese per anni costruito sulla subalternità della sua classe dirigente alla sotterranea azione e interrelazione di eventi internazionali (da Yalta a Bretton Woods al piano Marshall) e nazionali (dal Terrorismo a Tangentopoli), nonché sul prolungamento di un debito pubblico costitutivo della sua economia. Un debito enorme, la cui insolvibilità mal si concilia con le politiche del rigore di ispirazione tedesca, le cui conseguenze sono ormai evidenti, con la perdita di posti di lavoro e il generale impoverimento della classe media. Non a caso proprio sul nostro paese si concentrano le attuali pressioni europee, a fronte degli ultimi due discussi anni di governo Renzi, contraddistinti dalla politica del “così è se vi appare” e da una parvenza operativa fondata sul leitmotiv della “rottamazione”; un governo del dire, figlio di un sistema politico derivato dalla lottizzazione partitocratica, dalla cooptazione, dalla corruzione e dal consociativismo, concretamente sostenuto dai poteri forti nell’assenza di qualsiasi efficace opposizione, sia interna che esterna.
L’azzeramento del pluralismo politico, in una sorta di “democrazia malata” (per citare un’espressione di Macaluso), vede così la politica italiana esibirsi in dibattiti pubblici organizzati secondo format preconfezionati, animati da personaggi “ammaestrati” e dotati di specifici ruoli, esperti nel “copia e incolla” in stile Wikipedia per fornire suggestive rappresentazioni della realtà del paese.
Sono questi i temi più interessanti emersi nell’ambito della vivace iniziativa “IConfronti in libreria” – ideata e organizzata dal giornalista Andrea Manzi – che ha animato la Feltrinelli di Salerno in presenza di un concentrato e fitto pubblico (le cui richieste di intervento sono state purtroppo penalizzate dalla rigidità degli orari di chiusura della libreria), con due incontri di grande spessore politico-culturale: la presentazione del libro “Non chiamatelo Euro” di Angelo Polimeno e, a seguire, quella del numero 111 della rivista “Quaderni Radicali”, diretta da Geppy Rippa. I due appuntamenti – coordinati da Franco Esposito (direttore di Telecolore), con la partecipazione di Massimo Adinolfi (filosofo ed editorialista del Mattino), Alfonso Andria (già europarlamentare), del filosofo Giuseppe Cantillo, di Carmelo Conte (ex ministro e dirigente PD), Tino Iannuzzi (parlamentare PD), Andrea Manzi (fondatore e direttore de IConfronti) e Geppy Rippa – hanno, di fatto, lanciato da Salerno un messaggio autenticamente culturale e politico, significativamente volto a spezzare il regime di monopolio informativo e appiattimento culturale cui siamo ormai assuefatti, con una stampa asservita ai gruppi di potere locali e nazionali, imbrigliata quindi all’interno di un gioco delle parti falsamente dialettico.
Non è possibile interpretare lucidamente gli eventi della politica italiana degli ultimi anni se non si esce dalla rappresentazione che, in una sorta di collettivo “Truman Show”, viene data dell’Italia e degli italiani attraverso i proclami e gli strumenti mediatici. A ispirare l’iniziativa vi è infatti proprio l’intento di dare vita a un laboratorio di idee per la costruzione di una cittadinanza attiva.
Una cittadinanza oggi più che mai necessaria, di fronte alle trasformazioni materiali e immateriali del nostro paese, impoverito da ogni punto di vista, e alla conclamata crisi dell’Unione Europea. Una crisi economica, ideologica, morale e sociale, la cui genesi fonda non certo sull’idea di Europa, ma su dinamiche interrelate e complesse: dalla riunificazione della Germania (dopo il 1989) alla progressiva contrazione del carattere democratico della politica economica europea, con l’adozione, a suon di regolamenti, di una moneta unica e di un fiscal compact in deroga al Trattato di Maastricht e alla stessa Costituzione Europea.
Che tale situazione abbia favorito i tedeschi a danno degli altri paesi membri, tra cui il nostro, non è, come ovvio, una casualità. Il “grimaldello giuridico” è individuato dal libro di Polimeno come l’unica possibilità di invertire la rotta, come dimostra in effetti il recente caso di Annarita Amoroso, la studentessa di Ercolano che, con una petizione alla Commissione europea, ha bloccato l’entrata in vigore di una legge che avrebbe imposto ai turisti un pedaggio di circolazione sulle autostrade della Germania. Diventa però difficile, come emerso dal dibattito, parlare di legge e forza del diritto in un’Europa piegata agli interessi di banche e lobby finanziarie, dimentica dei diritti primari delle popolazioni e delle fasce più deboli, sottoposte a decisioni prese dall’alto e in alcun modo democraticamente condivise.
Un’ambiguità che contraddistingue anche la situazione specificamente italiana, ancor più alla luce delle recenti vicende che, a due anni dal suo insediamento, stanno minando la credibilità del governo Renzi (dallo scandalo Banca Etruria alla vicenda Tempa Rossa). Il dibattito di Salerno ha così messo a fuoco le dinamiche recenti e lontane su cui fonda il tradimento delle speranze generali di chi aveva inizialmente creduto nella fattibilità di un programma di riforme tradottesi, di fatto, in una cura a base di “aspirina data a un malato di cancro”. Speranze che si sono poi del tutto infrante al cospetto delle evidenti, gravi compromissioni della politica nazionale e locale con i poteri finanziari: l’Italia sta evidentemente cavalcando gli aspetti peggiori della globalizzazione, intensificando i danni procurati agli interessi delle sue collettività, nonché al territorio nel suo complesso, con l’appoggio di “potentati locali” regionali sempre più autonomi e inclini a consolidarsi grazie a un pericoloso avvicinamento dei tre poteri che Montesquieu aveva saggiamente indicato di separare.
La situazione emersa dai due incontri di Salerno è dunque quella di un paese in caduta libera, governato da un modello politico consunto e inadeguato, privo di consapevolezza e autentica lungimiranza. Una parabola discendente che può essere contrastata attraverso la promozione di “confronti” politici e culturali realmente liberi e innovativi, spezzando il muro di gomma di un determinismo politico autoreferenziale, fondato sul perseguimento di pseudo-necessità fini a sé stesse.
- Presentazione a Salerno “Non chiamatelo Euro” di Angelo Polimeno (iconfronti.it)
- Presentazione a Salerno del n.111 di Quaderni Radicali “Due anni con Renzi. Forza e Dissolvenza” (iconfronti.it / Agenzia Radicale Video)
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