di Adriana Dragoni
“Assicurazioni, Europa e Mezzogiorno per una economia solidale” è il tema del convegno, che si è tenuto nell'Istituto di Cultura Meridionale nei giorni scorsi e la cui finalità era la promozione di una cultura volta a sottolineare la centralità dell'uomo e dell'ambiente in cui vive.
"Lo sviluppo economico deve essere sostenibile e solidale. Fare investimenti finanziari nella promozione dei beni culturali, di cui soprattutto i nostri territori sono ricchi, significa promuovere l'ambiente, l'educazione civica e creare un volano economico fautore di benessere per la comunità dei cittadini - ha chiarito il presidente dell'Istituto Gennaro Famiglietti".
"Il dovere che ha colui che è benestante è di essere solidale con le persone bisognose, anche se poi una condizione agiata non è soltanto il risultato di circostanze fortunate, ma soprattutto della propria capacità, della volontà di metterla a frutto e dell'impegno nel lavoro quotidiano".
Le difficoltà di una rinascita dei nostri territori è stata evidenziata dal professore Mario Mustilli, ordinario di Finanza Aziendale nell'Università Federico II, che parla dopo i saluti istituzionali dell'assessore Amedeo Lepore. Il professore Mustilli, sviluppando il tema “Il sistema banca e assicurazioni nello sviluppo del Mezzogiorno”, non ha nascosto le difficili condizioni in cui versa questo sistema, che va sempre più deteriorandosi. E, partendo dall'assunto che la storia, ovvero la realtà umana, la fanno quelli che governano le istituzioni finanziarie, osserva che la mancanza ormai di qualsivoglia centro direzionale nel territorio porta il Meridione a una posizione subalterna rispetto a interessi altrui.
“Il sistema bancario e il rapporto banca-assicurazioni-imprese” ha affermato il professore “è stato stravolto. Stiamo assistendo a una transizione dolorosa che intacca nell'intimo la nostra vita e i nostri valori”. Non sono in grado di precisare le modalità di questo cambiamento peggiorativo ma ricordo che la Storia riporta l'esistenza, un tempo, di istituzioni intermedie tra il Potere e il popolo, come già le corporazioni di arti e mestieri medievali, le quali, riunendo persone unite dallo stesso tipo di lavoro e comprendendone le esigenze, in qualche modo le tutelavano. Posso anche ricordare l'esistenza moderna di enti previdenziali per i vari ordini professionali, che ora, in nome della centralità dello Stato, vengono via via aboliti.
Di valori ha parlato in tono ottimistico Don Tonino Palmese, Vicario Episcopale per la Carità nella diocesi di Napoli, il quale ha incitato a rispettare l'etica cristiana anche nel campo economico, ricordando sempre, in ogni nostra azione, di essere cristiani cioè umani. Poi, parlando di libertà, caposaldo - si dice - dell'attuale nostra democrazia, don Tonino ha asserito che essa non può e non deve esistere se non congiunta alla responsabilità e ha riferito l'aneddoto della newyorkese Statua della Libertà che non potrà vivere se non quando potrà specchiarsi negli occhi nell'analoga Statua della Responsabilità. Il Vicario ha toccato anche, seppure rapidamente, due temi oggi molto attuali. La necessità di non fare la carità mossi da un pietismo in effetti falso, cioè “ragionando con la pancia” perché, così facendo, si fa invece del male ai propri fratelli. L'altro tema è l'esigenza di fare comunità, di sentirsi vicini ai propri vicini, a quelli con i quali si condividono la propria vita e i propri valori.
Il progetto di portare benessere al popolo è stato teorizzato diverse volte nella nostra storia. C'è chi credette di poterlo realizzare combattendo il capitalismo. Come Charles Fourier (1735/1837), che, in nome di un egualitarismo giacobino, vagheggiò il cosiddetto falansterio, un caseggiato senza “strade esterne scoperte ed esposte alle intemperie”, che ospitava 1600 persone. Donne e uomini, tutti uguali, senza distinzioni di sesso, accettavano di vivere in piena libertà, senza quelle limitazioni sessuali e quei vincoli familiari derivati - a suo dire - da oppressivi pregiudizi sociali. Il risultato? Realizzato nel 1832, questo falansterio fallì in una caotica generale discordia e fu sconfessato dallo stesso suo creatore.
Viceversa va ricordato che, nella cultura meridionale, esiste una tradizione diversa. Già nel Medio Evo vi erano i banchi, fondazioni benefiche senza scopo di lucro, che davano prestiti senza interessi. Furono prodromi di quel banco dell'Annunziata che poi si evolverà nel Banco di Napoli. Ed esiste nel Sud la tradizione di un'ideale monarchia illuminata e benefica, quella espressa anche nelle teorie de “La città del sole” di Tommaso Campanella (1568/1639). Teorie riprese e precisate poi, nel Settecento, dall'abate Antonio Genovesi (1713/1769), professore della prima cattedra universitaria di Economia, quella della Federico II. Le teorie del Genovesi guidarono il governo – come i nuovi studi storici stanno via via riscoprendo - della pur controversa monarchia borbonica.
Un esempio ne è il Codice Leuciano, firmato nel 1789 da Ferdinando IV (1751/1825), cioè lo Statuto della comunità operaia di San Leucio che, pure nell'architettura, ad es. nella costruzione di singole case unifamiliari, denota ben altro spirito e intendimento rispetto alle teorie di Fourier. Lo Statuto stabiliva, ad esempio, che la comunità provvedesse alla dote delle ragazze da marito e che si aiutasse l'operaio che “non per sua colpa” si trovasse in difficoltà.
L'intervento al convegno del dottore Riccardo Monti, Presidente Grandi Stazioni e Presidente ICI, è stato succinto, sintetico e deciso nell'auspicare l'apporto nell'economia meridionale di capitali stranieri.
Ma l'ospite d'onore del convegno è la dottoressa Maria Bianca Farina, Presidente Ania e Alto Rappresentante dell'Autorità di Vigilanza e Informazione Finanziaria della Santa Sede. Un istituto che raccoglie l'impegnativa eredità delle teorie economiche contenute nelle encicliche Rerum Novarum (1891) di papa Leone XIII e Quadragesimo Anno (1931) di Pio XI: una concezione economica lontana sia da quel socialismo che nega la proprietà individuale che da quel capitalismo che lo riserva a pochi. A queste encicliche si ispira la comune affermazione: “Il guasto del capitalismo non è il troppo capitalismo ma i troppo pochi capitalisti”.
La dottoressa Farina, una signora dall'aspetto gentile e dall'eleganza sobria (il solo elemento “alternativo” del suo abbigliamento è un unico orecchino che le pende dall'orecchio destro), ha pacatamente consigliato la sapiente condotta del risparmio (e ha ricordato la favola di Fedro, ripresa da La Fontaine ne “la cigale et la formie”).
Purtroppo la falla di questa esortazione, a mio avviso, consiste nella difficoltà della famiglia attuale di risparmiare qualcosa dal modesto stipendio, ampiamente decurtato dal costo alto delle bollette che la società tecnologica le impone. Le assicurazioni – dice la dottoressa - nascono dalla necessità di risparmiare in previsione delle emergenze. Che possono essere la momentanea perdita del lavoro, la vecchiaia o la malattia. Un beneficio sociale delle assicurazioni è produrre sicurezza al cittadino e alla sua famiglia. Non è inutile ma necessario il passaggio di denaro dalle società di assicurazione alle banche, perché le stesse società non potrebbero da sole affrontare i rischi finanziari che gli investimenti di danaro comportano e d'altronde la rateizzazione del prestito, fatta dalle assicurazioni, è indispensabile ai piccoli risparmiatori perché consente loro di investire i propri risparmi in affari a cui gli sarebbe altrimenti impossibile accedere. Inoltre, in questo modo, i piccoli risparmiatori possono finanziare, attraverso le banche, le piccole e medie imprese – spiega la dottoressa.
Alla dottoressa Farina è stato assegnato, a conclusione del convegno, il “Premio Internazionale per la Cultura dell'Impresa e del Sociale 2016”.
L'appuntamento ha stimolato non poche riflessioni. A proposito di finanza, viene in mente come l'attuale direttore del Museo di Capodimonte Sylvain Bellenger notava lo stretto legame che esiste tra sistema finanziario e l'arte figurativa. E, tra l'altro, citava due esempi: quello della Firenze del Quattrocento, quando dominavano i banchieri fiorentini, quali gli Albizzi, gli Strozzi e i Medici, e la Francia del primo Ottocento, quando dominavano i banchieri parigini.
Da parte mia posso osservare che appunto nella Firenze dei banchieri veniva creata in pittura la famosa prospettiva toscana, una costruzione geometrica piramidale che ha un unico punto di vista e un unico punto di fuga e suggerisce un'unica direzione allo sguardo, mentre realizza su una superficie, che ha due dimensioni, uno spazio-scatola a tre dimensioni. Posso aggiungere che questa prospettiva veniva ripresa nella Parigi dei banchieri ottocenteschi dalla pittura neoclassica. La prospettiva, si sa, non è solo un fatto artistico ma è l'espressione di una mentalità. La prospettiva toscana, con il suo unico punto di vista su uno spazio materialistico, testimonia che la mentalità dell'epoca dei banchieri è quella di guardare il mondo secondo il proprio ristretto punto di vista e il proprio ristretto personale interesse, in nome di un progresso senza fine dell'accrescimento delle proprie ricchezze.
E non è senza significato che invece nell'arte napoletana settecentesca è presente una prospettiva particolare, curvilinea e composta da diversi punti di vista, che realizza, su una superficie, la realistica concezione di uno spazio in movimento.(cfr “Lo spazio a 4 dimensioni nell'arte napoletana. La scoperta di una prospettiva spazio-tempo” A. Dragoni- Pironti ed.).
La soluzione dei problemi economici, come quella della crisi della civiltà occidentale, non può esistere, a mio avviso, se non ci sarà un cambiamento di mentalità. Cioè il passare da una concezione prospettica di un unico punto di vista, egoistico e solipsistico, a una concezione del mondo che bada all'interesse di tutti, perché guarda il mondo da molteplici punti di vista, quelli di un'intera comunità, una comunità coesa, composta da individui simili uniti dagli stessi valori e da una stessa lunga storia.
Sempre considerando che l'arte intuisce la realtà nella sua verità e ne profetizza il futuro, vorrei citare un'opera dell'artista contemporaneo Adrian Tranquilli, presente nella mostra “Giorni di un futuro passato”, che è stata, fino al 6 giugno, al Museo Archeologico napoletano. Si tratta di una scultura piramidale, forma simbolica del potere centralistico e della biblica torre di Babele, la torre costruita da chi voleva avere un potere più alto del Cielo; una torre dove, contenendo popoli di diverse lingue, nessuno capisce l'altro e nessuno comprende quello che succede.
La torre di Ivan Tranquilli è spaccata in due. E nell'interno appaiono, reiterate più volte, le immagini di Anonymus, un genietto diabolico, ribelle e benefico. Forse sarà questo diabolico Anonymus che potrà salvarci...
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