Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

17/11/24 ore

Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte in un contesto mondiale



di Adriana Dragoni

 

Straordinariamente interessante il congresso internazionale “Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte in un contesto mondiale”, una “tre giorni” (12, 13, 14 ottobre) organizzata dal  Museo e Real Bosco di Capodimonte e da The Edith O'Donnel Institute of Art History the University of Texas at Dallas, che, insieme, fonderanno, a Napoli, un Centro di Ricerca per la Storia dell'Arte delle Città Portuali. Si tratta di creare una nuova storia dell'arte, multidisciplinare e al di là dei confini cronologici e territoriali. Hanno collaborato al convegno l'Université Sorbonne di Parigi, l'Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale e l'Associazione Amici di Capodimonte.

 

“Le città portuali - ha affermato l'ideatore dell'iniziativa, il direttore del Museo e del Real Bosco di Capodimonte Sylvain Bellenger, introducendo il convegno - anticipano la contemporaneità del mondo globalizzato...sono dei nodi dove gli artisti portano e ricevono una trasformazione. Questa è la definizione più accurata di Napoli. Ed è la ragione per la quale qui ognuno, pure uno straniero, non è e non si sente straniero”. Così Bellenger, che poi si attarda a parlare del fenomeno dell'eterotopia, parola usata da Michel Foucault per indicare la caratteristica di quei luoghi che, connessi a tanti altri, sono capaci di neutralizzare, assorbire o invertire i rapporti con loro.

 

E in proposito viene in mente un episodio della storia dell'arte, che potrebbe essere un esempio di questo particolare fenomeno eterotopico: il rapporto tra  Napoli e Michelangelo Merisi da Caravaggio. Il quale dipinse la sua opera più rivoluzionaria, “Le sette opere di Misericordia”, subito dopo il suo arrivo nella città (1606). In questa opera, il pittore lombardo ritrasse quei personaggi del popolo napoletano che lo avevano particolarmente colpito. E, nel metterli insieme, usò una logica spaziale libera, priva dei canoni prospettici toscani, accostandosi, così, a quegli artisti napoletani già ribelli allo spazio canonico, come l'immaginifico Francesco Curia (1538/1610).

 


 

Altrove Caravaggio genialmente risolveva il problema della resa pittorica dello spazio liberandosene: lo annullava, tingendolo di buio. E suggeriva questa strada ai ribelli artisti napoletani a lui consentanei.  E furono i cosiddetti caravaggeschi, magnifici pittori, che seguirono questa strada ciascuno a proprio modo, un modo spesso molto diverso da quello del lombardo. D'altronde già Antonello da Messina (1430/1479), allievo a Napoli del napoletano Colantuono, aveva tinto di nero l'ambiente dei suoi ritratti e della sua straordinaria “Annunciata” (ora a Palermo, nel Palazzo Abatellis).

 

Nel convegno, dopo la presentazione di Bellenger e il breve saluto di Sarah Kozlowski, Associate Director The Edith O' Donnel Institute of Art History,  c'è stato il breve intervento dell'attivissima Stefania Albinni, in rappresentanza degli Amici di Capodimonte. Poi è intervenuto Barthélémy Jobert, presidente dell' Université Paris-Sorbonne, il quale si  è impegnato a interessare i diversi centri di studio della sua Università al tema della città-porto.

 


 

Di seguito, Pietro Spirito, napoletano, presidente dell'Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale, ha tenuto a ricordare la particolarità di Napoli, rispetto agli altri porti europei: la sua antichità. Gli scavi di archeologia marina, eseguiti anche recentemente per la costruzione della metropolitana cittadina, hanno avvalorato l'esistenza di due antichissimi porti.

 

Il più antico è quello di Partenope, la città detta poi Palepoli, (dal greco paleos polis=città vecchia), situata sulla collina di Pizzofalcone, di fronte all'ex isolotto di Megaride, ora Castel dell'Ovo. L'altro porto è quello di Neapolis, ( dal greco nea polis = nuova città). Anche secondo Pietro Spirito, il legame tra la storia artistica e architettonica della città e il suo porto è uno dei punti essenziali, non esplorati sufficientemente, del suo sviluppo. La stessa esistenza degli alberi esotici che si ammirano nel Real Bosco di Capodimonte – dice - è stata resa possibile dal loro arrivo nel porto di Napoli.

 


 

Drastico e più che mai interessante l'intervento dell'olandese Olaf Mark,  Administrator Ports and Shipping at the International Transport Forum of OECO. Mark ha sottolineato che lo sviluppo di ogni città portuale è stata storicamente sempre legata al suo porto e alle relazioni che ne derivavano. Ma adesso - ha aggiunto - sta accadendo qualcosa di diverso. Oggi le merci vengono trasportate nei containers sulle navi porta-containers.

 

Queste, affinché i loro proprietari ne traggano maggior profitto, sono diventate sempre più grandi. Quindi queste navi esigono fondali molto profondi. Di conseguenza, non tutti i porti possono accoglierle. Inoltre, questo tipo di trasporto esige un vasto spazio pianeggiante, dove scaricare i containers. Da qui il disegno dei porti moderni: uno standardizzato modello rettangolare.

 

 

Può questo modello integrarsi nella città? Mentre un tempo poteva esserci addirittura una identità tra la città e il suo porto, ora, a volte, può capitare che non ci sia più relazione tra l'uno e l'altra  Ancora:  per distribuire la gran quantità di merci un porto deve avere un entroterra attrezzato alla bisogna.

 

In questa situazione di interconnessioni globali, ogni Stato - è stato detto - dovrebbe organizzare i suoi porti secondo un'ampia visione e un'accorta strategia. Ma, mentre oggi il mondo corre velocemente e l'Egitto ha raddoppiato l'ampiezza del Canale di Suez in un solo anno, l'Italia è lenta e non ha ancora una visione strategica ampia. Cosicché Trieste è stata venduta ai Cinesi. Come il Pireo.

 


 

E Napoli? Non è nell'intenzione del Potere globale di ampliare e promuovere il suo scalo merci. Ma la città, quale centro culturale e turistico, può sviluppare il suo porto attirando navi-passeggeri e ampliando e migliorando le strutture per accoglierle. D'altronde Napoli ha sempre attirato quelli che cercano cibo per la loro mente. E già la città magnogreca accolse l'élite culturale romana. E vi approdò pure San Pietro, che vi importò il Cristianesimo. Che Napoli poi esportò intriso dei propri miti greci. Un altro esempio di eterotopia?

 

Con la costruzione romana di Puteoli (Pozzuoli), Napoli ebbe ridotto il suo appeal di porto. Tanto più quando fu costruito quello romano di Ostia. Certo,- è stato detto nel Convegno -, durante il Medio Evo, in Campania era più importante la flotta di Amalfi che quella di Napoli. Eppure fu l'ammiraglio della flotta napoletana Cesario Console a vincere, nell'846, con la battaglia di Gaeta, i musulmani che si dirigevano verso Roma. E fu ancora lui, a capo della Flotta Campana, formata da Napoli, Gaeta, Amalfi e Sorrento, a sconfiggerli, nell'849, nella battaglia di Ostia.

 


 

Più tardi Napoli capitale si servì del suo porto per le comunicazioni con le  terre del Regno. Anche nel periodo borbonico. Una navigazione di piccolo cabotaggio. Eppure la Napoli borbonica aveva relazioni con ogni parte del mondo. “Napoli pensava in grande.” – ha osservato Bellenger. Che si è detto stupito della costruzione, in poco tempo, di tanti edifici importanti. Addirittura, - ricorda – Napoli aveva quattro regge. Contemporaneamente, ne erano state edificate tre, quelle di Caserta, di Portici e di Capodimonte, ed era stata ristrutturata la quarta, quella che ora si affaccia sulla piazza del Plebiscito. Che risale a quando Napoli, nel Seicento capitale spagnola e quindi sede del Viceré, la costruì, su disegno di Domenico Fontana, per l'arrivo imminente del re Filippo III d'Asburgo. Che però non vi arrivò mai.

 

Molti, a questo Convegno, i partecipanti. Provenivano da Istituzioni culturali di diverse parti del mondo. Sono intervenuti dalla Campania: l'Università Orientale, quella di Suor Orsola Benincasa, quella del Sannio e quella della Campania Luigi Vanvitelli. Da Roma l'Università La Sapienza e la Biblioteca Hertziana.

 


 

Più numerosi i partecipanti dall'estero: da Bruxelles, dalla Pennsylvania State University, dalla Parigi Gerda Henkel Stiftung, dalla Universitè Paris-Sorbonne, dalla University of Texas at Arlington, dalla Milton Keynes the Open University, dalla Universidad de Cordoba, dalla University of York, dalla Sarah Campbell Foundation del Museum of Fine Arts di Houston, dalla Portland State University, dal Center for Advanced Study in the Visual Arts della National Gallerry of Art di Washington, dalla Universitat Pompeu Fabra di Barcelona e dal Pulish Institut for Art Studies di Warsaw.

 

Ognuno dei partecipanti ha parlato dei vari argomenti relativi al tema del Convegno. Che, pur così complesso, è apparso perfettamente organizzato. Merito dello staff del Museo e Real Bosco di Capodimonte, degli Amici di Capodimonte guidati da Stefania Albinni, e dell'efficientissimo Ufficio Stampa.

 

 


Aggiungi commento