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22/11/24 ore

Sentenza di morte, i tratti della Repubblica Sociale


  • Silvio Pergameno

Il 13 aprile 1944, settant’anni fa, a Montefalco, presso Perugia, due diciannovenni – come altri giovani della zona, vennero fucilati da un plotone di esecuzione della RSI perché condannati alla pena di morte, in base ai decreti di Rodolfo Graziani e di Mussolini, per renitenza alla leva (reato militare normalmente punito con due anni di reclusione, meno le normali attenuanti e le possibili scappatoie): Americo Fiorani e Luigi Moretti, entrambi di Montefalco, dove vivevano nella campagna del contado e dove erano stati catturati (si sospetta a seguito di una spiata) il 27 marzo precedente.

 

Il processo fu celebrato lo stesso 13 aprile da un tribunale riunitosi in fretta e furia nella sede del comune di Montefalco, e l’esecuzione seguì subito dopo, giusto il tempo di portare i condannati vicino al muro del locale cimitero, ove oggi li ricorda una semplice stele.

 

Sentenza di morte (ediz. Mursia 2014 - €. 14,00). è la storia non tanto dei due giovani contadini senza storia, è la storia dei 16 giorni decorsi tra l’arresto e l’esecuzione, la storia di un episodio attraverso la quale l’autore, Andrea Pettini (un colonnello della Croce Rossa Italiana) fa emergere tutti i tratti che caratterizzarono la Repubblica Sociale Italiana, la persistenza della vuota retorica propria del regime, l’ostentata virilità di tanti capi e capetti, che non di rado nascondeva pusillanimità.

 

C’era uno Stato con l’acqua alla gola, c’era la necessità di dare l’esempio a dimostrazione di un potere che colpiva solo gli indifesi, i fuggiaschi, gli sprovveduti, di una forza che non aveva autorevolezza, in un tempo in realtà dominato dalla provvisorietà, dall’avanzata degli alleati che avanzavano lenti e inesorabili verso Roma, dall’attesa della liberazione che non arrivava mai, dalla cupa tetraggine del momento, ma nel quale le autorità volevano dare senso di durata e di continuità, con gli uffici amministrativi, statali e locali, che continuavano nel solito tran tran e si barcamenavano, trincerandosi dietro le usuali formule del burocratese.

 

È vera storia questa ricostruita dall’autore, storia fatta sui documenti e le testimonianze, non la solita frittata di elucubrazioni pasticciate a tavolino nel quadro della retorica dell’antifascismo di maniera che stampa, media e politica attuali ci profondono tuttora copiosamente, dove la realtà viene ridotta a uno scontro tra buoni e cattivi; le ricerche sono state lunghe e complesse presso gli Archivi di Stato di Perugia e quello di Firenze e del Comune di Montefalco e la documentazione storica dell’Arma dei Carabinieri e le testimonianze raccolte dal racconto di alcuni cittadini del posto ancora in vita. E così Pettini, accanto alla tragedia delle vittime, scopre altre tragedie, quella dei giovani comandati al plotone di esecuzione, che si piegano più morti che vivi al terribile compito, con una seconda squadra alle le spalle con le armi spinate; la tragedia del comandante del plotone che non sparò ma dovette dare l’ordine: subito dopo il passaggio degli alleati. Furono tutti processati dai tribunali del Regno restaurato e assolti per avere agito in stato di necessità.

 

Il libro è dedicato dall’autore alla madre, che, come tante famiglie a quel tempo (a casa di mia madre fu pure così, presso Treviso) tennero nascosti antifascisti, prigionieri delle truppe alleate evasi dai campi di concentramento dopo l’8 settembre 1943, carabinieri rimasti fedeli al giuramento prestato al re e datisi alla macchia, renitenti alla leva della RSI…

 

 


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