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24/12/24 ore

Potere e informazione: Come si comanda il mondo. Conversazione con Giorgio Galli



Con Giorgio Galli, che ha firmato con Mario Caligiuri il saggio Come si comanda il mondo (Rubbettino), ci  preme soffermarsi sui rapporti fra le nuove configurazioni del potere nel mondo attuale e l’informazione.  Il comando del mondo, nella rappresentazione proposta dal libro, risiederebbe in un mix di soggetti multinazionali, che pur non essendo il Grande Fratello orwelliano, è comunque concentrato in un ambito abbastanza ristretto.

 

 

 

Quali effetti subisce il sistema della comunicazione dall’egemonia di questi poteri? Essi non finiscono per favorire il processo di marginalizzazione delle istituzioni democratiche?

 

Nella cinquantina di multinazionali che si dividono il potere nel mondo, vi sono le cinque più importanti della tecnologia digitale, le “cinque sorelle” come le chiama Federico Rampini nel suo libro Le linee rosse (Mondadori). Le società tecnologiche – Amazon, Google, Facebook, Microsoft e Apple – hanno sostituito nel ruolo egemonico le famose “sette sorelle” di petrolifera memoria.

 

Queste multinazionali dell’elettronica hanno costituito il sistema dei big data, per cui noi cittadini veniamo informati secondo un criterio molto particolare: il mondo dei consumi del capitalismo globalizzato è presentato, infatti, come il solo mondo esistente. Una conseguenza del crollo del sistema sovietico, falsamente rappresentato come socialista e alternativo. Attraverso il sistema dei big data, gestito dalle multinazionali dell’informatica, oggi il mondo nel quale viviamo si impone come l’unico mondo possibile, privo di ogni alternativa. Ci dicono: il mondo è questo che vi proponiamo.

 

Il sistema di informazioni, che viene gestito in questo modo e che poi si ramifica ovunque attraverso la tv e internet, non dà ancora luogo al Grande Fratello ma determina la diffusione della convinzione, che i gestori di queste multinazionali assumono come definitiva, secondo la quale il mondo attuale non può essere cambiato né ha alternative. Tutte le informazioni, tutte le singole narrazioni sono uniformate a questo modello di convinzione.

 

Quali sono le implicazioni dirette attraverso cui si ramifica e si consolida il meccanismo di indirizza dell’intero sistema di conoscenze e informazioni? Esiste un collegamento diretto o, comunque, è l’intero mondo dell’informazione oramai soggiogato dalla schema che hai definito come imposto dai cinque grandi attori dell’era digitale?

 

Come non c’è un Grande Fratello, ritengo anche che non ci sia un disegno complessivo. La diffusione introiettata dall’insieme dei flussi comunicativi è appunto quella dell’assenza di un’alternativa a questo tipo di funzionamento del nostro mondo. Per esempio, il concetto di “mercati” ha subito una metamorfosi: non sono più delle persone che prendono delle decisioni, bensì ha finito per coincidere con delle nebulose, degli ectoplasmi. I mercati, in quanto tali, sono descritte quasi fossero entità reali, mentre essi non esistono: ci sono delle persone che decidono. È un’impostazione quasi filosofica diversa.

 

Questa mancata identificazione delle responsabilità nelle decisioni fa parte delle conseguenze prodotte dal nostro tempo. Rientra in quella “società delle conseguenze”, prodotta all’interno di questo schema di natura egemonica. Per quanto riguarda il sistema della Rete, del web, è davvero così implicante o è ancora la televisione il mezzo attraverso il quale passa la diffusione di questa convinzione?

 

Credo che questa convinzione introiettata della impossibilità di alternative al mondo che oggi viviamo, sino a qualche anno fa ha avuto come principale strumento di diffusione la televisione ma adesso ha come mezzo prevalente i social network.

 

Talvolta può accadere che essi si propongano come alternativi. Le campagne elettorali, per esempio, di Obama e Trump hanno potuto grandemente giovarsi dei social forum pur essendo quanto mai contrapposti l’uno all’altro. Le loro apparenti alternative davano come introiettata nel profondo della coscienza collettiva l’idea che non esistono altri mondi possibili al di là di quello del capitalismo globalizzato.

 

Credo, quindi, che negli ultimi anni i social network hanno preso il posto egemone che aveva la televisione sino a dieci anni fa. Anche se apparentemente sembrano favorire modelli alternativi tra loro, in realtà lo fanno all’interno di un identico schema interpretativo della realtà.

 

Con l’aggravante che finiscono per promuovere l’ignoranza dei dati reali… L’ennesima conseguenza di quello che un tempo chiamavano il “grande imbecille collettivo” e che oggi può dirsi invece “individuale”, nel senso che agisce davanti al computer nella solitudine degli utenti di internet… Nel contesto descritto dal vostro saggio, che analizza la cinquantina di società multinazionali che muovono le leve delle scelte vere, si può affermare che il sistema dell’informazione è passato dall’essere il “quarto potere” alla condizione di una sua subalternità rispetto all’egemonia esercitata al livello della finanza globale? È un’interpretazione forzata ritenere che oggi i mass media e l’intero apparato della comunicazione sono ridotti, anche a seguito dell’abbattimento al loro interno delle deontologie professionali, a un viatico del modello egemonico proposto?

 

Sì è così. Non c’è più un “quarto potere” autonomo dell’informazione. È un potere di diffusione nella coscienza collettiva di un pensiero comune, che può essere esercitato anche con una certa autonomia ma che assolutamente non ammette scarti, deviazioni e men che meno alternative. Il sistema dei big data resta fondamentale e si identifica nella frase tante volte pronunciata, in altro contesto, dalla premier inglese Margareth Thatcher: “non ci sono alternative”.

 

Questo sistema è molto pervasivo, per cui non abbiamo avuto dall’interno del mondo giornalistico alcun tipo di reazione. Personalmente ritengo che la possibilità di una rete di comunicazione, capace di proporre interpretazioni diverse, ci sia da un punto di vista tecnico. Probabilmente, però, non ci sono né le competenze né gli stimoli professionali necessari per poterla organizzare.

 

Purtroppo gli attori che hanno un grado di coscienza critica sono ridotti a piccole enclave, e questo conduce a un’ultima riflessione. Non ritieni che, nel nostro Paese, esista una certa forma di diffusa ignoranza che si associa al disegno pervasivo cui facevi prima riferimento?

 

Non c’è dubbio. Purtroppo scuola e università non contribuiscono in alcun modo a diffondere una percezione più avvertita dei dati reali, di cui pure potremmo disporre anche a una semplice lettura consapevole delle notizie che filtrano sulla stampa. A volte bastano le notizie semplicemente descrittive per assumere una consapevolezza del reale sistema di comando che agisce a livello finanziario: basti pensare alla scalata di Vivendi su Telecom, i cui passaggi si potevano recepire anche soltanto leggendo la stampa quotidiana.

 

Per farlo bisogna però saper leggere e selezionare dall’enorme massa di notizie. Occorre sistematizzare i brandelli di informazione potenzialmente critica, che anche il grande sistema mediatico fornisce. Altrimenti saremo completamente divorati dalla continua riproposizione del supermodello globale: va reso esplicito ed evidente ciò che viene occultato, cogliere il visibile che si nasconde nell’invisibile accumulo disordinato del flusso fintamente informativo che caratterizza il nostro tempo. (red.)

 

 

 

 


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