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18/11/24 ore

Martha Argerich, L'enfant et les sortilèges


  • Elena Lattes

Ha suonato e si esibisce ancora in tutto il mondo da più di cinquant’anni ed è famosa anche soltanto di nome, sebbene in Italia non se ne parli molto.

 

Nata in Argentina nel 1941, da padre contabile, insegnante di economia ed artista eclettico (cantava, scriveva poesie, suonava) e da madre socialista, femminista ante litteram, appassionata di musica, originaria di una famiglia ebraica emigrata dalla Russia nella seconda metà dell’Ottocento, Martha Argerich - di cui la Zecchini Editore ha pubblicato la dettagliatissima biografia del musicologo francese Olivier Bellamy e tradotta da Stefano Biosa e Marco Bizzarrini a cura del Centro di Documentazione “Arturo Benedetti Michelangeli” di Brescia - ha iniziato da piccolissima, quasi per caso: amante delle sfide, ne accettò una da un suo compagno del nido che l’accusava di non saper suonare il pianoforte.

 

Così la quasi treenne con grande naturalezza eseguì con un dito solo la ninna nanna che le veniva suonata all’asilo dopo pranzo. La maestra che la sentì, la incoraggiò a continuare e informò i genitori, i quali le comprarono una tastiera giocattolo per bambini. Lei, però, pretese un pianoforte vero e il papà l’accontentò.

 

Fu poi la mamma a spronarla, fin quasi allo sfinimento, presentandola ai migliori musicisti dell’epoca, facendola studiare con alcuni di essi (tra cui gli italiani Vincenzo Scaramuzza e Arturo Benedetti Michelangeli), portandola ai concerti, rimproverandola quando si distraeva e impedendo che gli altri - in particolare il fratello più piccolo - potessero disturbare le sue esercitazioni.

 

Da adolescente emigrò prima a Vienna, poi a Bolzano, da qui a Ginevra, ad Amburgo , successivamente, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Belgio. Da adulta ha incontrato e suonato con i più grandi direttori d’orchestra: Barenboim, Horowitz, Mehta, Prêtre e Abbado e ospita e aiuta chiunque sia in difficoltà. Generosa, dunque, ma anche libera nello spirito, piena di fantasia e di non poche “stranezze”.

 

Le sue abitazioni, prima in Svizzera, poi a Bruxelles, infatti, sono state un porto di mare, aperte a pianisti e artisti di ogni genere, che entravano ed uscivano, si servivano da soli e si comportavano come se fossero a casa loro; la descrizione che ne fa Bellamy ricorda un po’ le comunità hippies degli anni ’70.

 

Creò un concorso biennale pianistico internazionale per incoraggiare i giovani musicisti a mostrare e sviluppare i loro talenti, aprì una fondazione in memoria del fratello all’indomani della sua prematura scomparsa e tentò di aiutare i suoi concittadini depauperati dalla grave crisi economia che attanagliò l’Argentina nei primi anni di questo millennio.

 

La vita della Argerich, costellata da tanti successi e innumerevoli riconoscimenti alternati da momenti di profonda crisi, è stata (e probabilmente lo è ancora) intensa, movimentata e finanche piuttosto disordinata anche dal punto di vista privato: tre compagni da ciascuno dei quali ha avuto una figlia, fumatrice accanita, si esercita di notte e dorme di giorno.

 

Nel libro vi sono i profili particolareggiati dei suoi familiari più stretti, di Scaramuzza, dei tre compagni e delle tre figlie. Molto interessanti sono anche le descrizioni degli ambienti in cui la virtuosa pianista si è formata e in cui ha vissuto: “La vita musicale era davvero ricca a Buenos Aires. I più grandi solisti e direttori d’orchestra effettuavano tournée nell’America del Sud fermandosi almeno un mese nella capitale argentina. Martha faceva parte del gruppo di giovani pianisti a cui si concedeva il diritto di assistere alle prove.”

 

La nutrita raccolta di fotografie e la lunghissima discografia e videografia concludono la il volume, occupandone quasi un terzo.

 

 


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