L’ultimo lavoro di Pierluigi Battista, “La nuova caccia all’ebreo” è un libro veramente molto piccolo ma estremamente denso; ogni pagina è come se fosse un pugno nello stomaco, di quelli che lasciano senza respirare; è un grido di allarme, ma anche l’espressione di una solitudine provata da lui, da gran parte degli ebrei della Diaspora, dai tanti esponenti della sinistra israeliana e da pochi altri.
Leggendolo si avverte un senso di soffocamento, come se si fosse in un tunnel senza uscita, inseguiti da un mostro terribile deciso a sbranarci vivi. Nonostante questo si ha anche l’impressione che sia un’opera incompleta, o meglio, già obsoleta, perché è stata pubblicata soltanto poco più di due mesi fa, ma nel frattempo abbiamo dovuto assistere ad un’altra lunga serie di episodi, sempre più violenti e grotteschi.
Battista elenca alcune delle tante aggressioni, anche fisiche, a danno di ebrei e Israele che negli ultimi 14 mesi hanno visto un incremento esponenziale (si pensi solo che su “X, il nuovo Twitter, i contenuti antisemiti sono aumentati dal 7 ottobre del 919 percento”); denuncia le innumerevoli storture risultanti da ignoranza, pregiudizi e illogicità, come, per esempio, i manifestanti che scendono in piazza con l’immagine di Anna Frank avvolta in una kefiah i quali “nemmeno sapranno che il Diario di Anna Frank è vietato a Gaza perché diffonderebbe la terribile infezione sionista” e lo sdoganamento di tabù che fino a poco prima del terribile pogrom perpetrato da Hamas sembravano relativamente rispettati: “Il silenzio di chi fino all’altro ieri piangeva per la sorte degli ebrei annientati nella Shoah è dettato dall’impossibilità di comprendere il senso di quello che sta succedendo, il suo significato, il perché del salto verso l’abisso e dell’incubo che ci trasciniamo dietro dal 7 ottobre 2023.
E il senso è che si è lacerata l’ultima membrana, l’ultimo fragile velo che teneva ancora precariamente separati l’antisemitismo e l’antisionimo. Si è frantumata la barriera, si è spezzato il muro divisorio, sottilissimo ma che ancora poteva avere una sua qualche giustificazione”.
Il mondo, dunque, che oggigiorno sembra girare sempre di più al contrario, sta agendo su più fronti nel tentativo, ormai piuttosto esplicito, di distruggere Israele e con esso l’intero popolo ebraico. Il primo è quello di metterne in discussione la sua stessa esistenza e non soltanto la sua politica; il secondo è quello di giustificare il pogrom (“contestualizzare” come qualcuno ha affermato e afferma tuttora) e incitare a commettere altre violenze, altri abusi e atti di razzismo verso i cittadini israeliani e gli ebrei in tutto il mondo.
Sempre più spesso, infatti, si sente inneggiare alla distruzione, al massacro, alla riapertura dei forni crematori. Come ad Harvard, “un tempio della cultura e del sapere oggi diventato covo di nefandezze antisemite dove si grida: Good bye Nazis, go back to Poland”, o in alcune città svedesi dove “gli ebrei si sono asserragliati in casa mentre frotte di islamisti padroni di interi territori cittadini urlavano per strada il loro odio per Israele e per gli ebrei”.
L’autore, però, non si limita a denunciare la sempre più aperta e spietata caccia all’ebreo, ma lancia anche un accorato appello a guardare soprattutto a quel che succede nel resto del mondo, a denunciare i silenzi, pesanti come macigni, dei mass media e soprattutto delle associazioni che sostengono di difendere i diritti degli oppressi, ma che in realtà, con il loro strabismo si rendono complici di chi compie massacri, quelli veri, verso minoranze e categorie più vulnerabili: “quando gli aerei e gli elicotteri militari della Siria del macellaio Assad (oggi rifugiato con la famiglia a Mosca) e della Russia di Putin uccidevano un numero elevatissimo di civili a Ghouta Est, ad Aleppo, ad Homs, a Dar’a, quanti bambini saranno stati sepolti sotto le bombe e quante strutture sanitarie devastate, se si considera che soltanto nel 2015 ne erano state distrutte centocinquanta?
Abbiamo detto qualcosa, le piazze si sono mosse, l’indignazione globale si è accesa come un incendio etico? No, in questo caso la ‘guerra crudele’ non era di Israele (e nemmeno amerikana) ...”, in Corea, in Cina (nessuno, tranne “i soliti Radicali”, è sceso in piazza in favore degli uiguri deportati dal governo), in Iran, nel Darfur.
Per non parlare dei femminicidi di massa perpetrati nelle dittature islamiche, delle torture e delle stragi di gay compiute da Hamas nella stessa Gaza, o dei palestinesi massacrati negli altri Paesi del Medio Oriente: “Provate invece a chiedere a uno studente della Sapienza o a uno di Harvard che cosa gli trasmette l’espressione Tell al Za’tar oppure Settembre nero.
Furono due massacri di palestinesi, bambini, donne e anziani annientati dai loro ‘fratelli’. Solo che la colpa non era di Israele, ma, appunto, rispettivamente della Siria e della Giordania. Per cui silenzio”.
Un libro, dunque, che fa riflettere e che dovrebbe essere letto da tutti, soprattutto da chi si occupa di informazione, di politica, ma anche da chi sfoga tutto il suo odio (e la sua ignoranza) nelle piazze, nei luoghi che dovrebbero essere deputati allo studio e all’educazione e in internet, nei social e nei vari forum.
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