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24/11/24 ore

Dino Ignani 80’s DARK PORTRAITS


  • Giovanni Lauricella

In 80's dark portraits Dino Ignani ritrae in foto bianco e nero volti e soggetti di una Roma notturna emblematici di un fenomeno sottoculturale allora in auge, che venivano comunemente denominati in senso complessivo con l'appellativo di ragazzo o ragazza – immagine.

 

L’influsso dello “splendore” craxiano era palpabile. I finanziamenti a pioggia avevano creato nel campo della cultura e conseguentemente nel comportamento di molti giovani romani un fasto che difficilmente vedremo ripetersi, visti gli ormai inestinguibili buchi di bilancio che le casse dello stato lamentano in ogni loro apparato amministrativo, figli dello stato assistenziale all'italiana.

 

Era strano constatare che venivamo da una forte contrapposizione ideologica della cultura progressista contro il predominio clientelare della Democrazia Cristiana (accusata di essere corrotta e sprecona), ma, senza capire bene come, ci si ritrovava in un paese di Bengodi, dove ogni sera si offrivano cene feste e buffet, in una città ancora sorniona e sonnolenta, dove mancava la stragrande maggioranza dei locali che, a distanza di soli ventotto anni e a fronte di tanti vantati divieti per la tutela del patrimonio artistico, hanno riempito, falsificandolo, il centro storico della capitale.

 

Non era ancora la movida  (com’è denominato ora il fenomeno ormai globalizzato della notte metropolitana) ma più semplicemente la divertente aggregazione festaiola di una cerchia più o meno estesa di frequentatori di alcuni punti di incontro che, spostandosi dall’uno all’altro, formavano il pubblico - e insieme gli attori - delle notti romane.

 

Il bar della Pace e il bar del Fico (si diceva a Pace o ar Fico) si contendevano il pubblico nottambulo, nonostante si trovassero a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, dietro piazza Navona.

 

A quel tempo non c’erano ancora i social network e quindi ti toccava uscire da casa se non volevi rimanere isolato. Raggiungere tali mete, come anche il bar di piazza S.Calisto, era la forma più consueta di connessione che richiamava a frotte un certo tipo di giovani, che venivano egemonizzati e direzionati negli itinerari di tendenza da una cospicua componente di piacioni, ragazze e ragazzi immagine, appunto, dall’abbigliamento modaiolo, che davano un aspetto cinematografico a quelle piazze.

 

Un giro di gente che era una specie di tribù, più o meno orientata dalle aspirazioni artistiche, che si riuniva quasi tutte le sere negli stessi luoghi, con una assiduità tale che sembrava si dovesse timbrare un cartellino di presenza … e per molti così è stato.

 

 

La particolarità del fenomeno era che ogni volta che raggiungevi uno di questi punti d’incontro automaticamente ti trovavi catapultato in una casa o in un locale a ballare, fare baldoria o quant’ altro, sempre con tanto da bere e da mangiare. Questo alimentava una febbre che portava uno sciame di giovani in giro per le strade romane tutta la notte. Contava molto come ti vestivi e come ti presentavi; l’immagine che davi rappresentava generalmente una tendenza musicale di tipo anglosassone.

 

Una sottocultura che metteva in caricatura  stili di moda new age e generava una giungla di abiti neri tipo rockers, punk, dark, new way o anche colorati anni '50, divise di riconoscimento che alle volte faceva apparire a chi li portava dei teatranti appena usciti di scena. Effettivamente c’era chi veniva dal cinema o dal teatro o cercava di entrarci (parlo di comparse o di aspiranti attori) ma c’era anche chi veniva dallo spettacolo come qualche musicista e qualche cantante o pittori come Paolo Bielli e Esteban Villata . Certe volte non si capiva bene se la festa era in corso nelle piazze dove ci si incontrava, perché era tanta la soddisfazione di essersi visti, che bisognava salutarci prima di andare a letto sennò non si dormiva…e in effetti si dormiva poco.

 

Una nuova maniera di sentirsi affiorava con prepotenza dopo la sbronza ideologica della lotta sociale che tanto aveva inibito la gioia di vivere nel lusso la generazione degli anni '70. Dagli anni '80 in poi, nonostante il clima paranoico imposto dal terrorismo, si tentava di inventarsi la propria soggettività, tanto che negli ambienti alti della cultura si rileggeva e si sdoganava Nietszche collocandolo addirittura politicamente a sinistra.

 

Si voleva apparire per quello che poteva esprimere la propria sembianza, si recitava ciò che si desiderava essere senza il vincolo ideologico della categoria sociale; se eri di bell'aspetto, oltre che inserito, tanto meglio. Per la prima volta si parlava di “quello che sa vendersi bene”.  Si affacciava dal lungo tunnel nella quale era stata la gioventù un elemento nuovo che voleva dimostrare di esserci stato e per tanto tempo anche quando si esibiva in pubblico.

 

Forse da questo il nome dark può essere pertinente visto che i dark veri e propri hanno un esplicito senso gotico di tetro per il costante richiamo alla morte, da qui l'ostentazione di teschi, ossa, croci, non religiose ma funerarie, visi pallidi sbiancati assimilati a streghe e vampiri che sono successivamente diventati l'ormai stucchevole consuetudine di Halloween, ricorrenza anglosassone macabro-umoristica da tempo acquisita dal nostro costume nazionale anche a livello di feste di bambini in parrocchia.

 

 

Le foto di Dino Ignani tendono a divinizzare personaggi che in alcuni casi appaiono più di quello che effettivamente sono, cogliendo il lato insidioso della loro segreta bellezza. Una bellezza in un certo senso sapiente di moda, proveniente dalle riviste musicali anglosassoni, personificata ad arte. Una fauna umana che sapeva ben mimetizzarsi in un look che spiazzava chi li vedeva. Un fenomeno che andrebbe scandagliato perché ci farebbe capite meglio alcuni fenomeni di costume attuali, voglio dire non chi erano ma che cosa rappresentavano della collettività romana.

 

Erano ragazzi, certo, molti dei quali con titolo di studio o addirittura laurea, che, espulsi dal mercato del lavoro, quando la generazione precedente dei giovani disoccupati era stata integrata con la 285, cercavano di reinserirsi con le professioni tipiche dei creativi, almeno per darsi un tono dignitoso. Un fenomeno che Roma in particolare conoscerà in senso oceanico in quello che saranno le serate romane, iniziate dall'Estate Romana di Renato Nicolini, canalizzate da un’ esplosione di locali di tutte le specie che a tutt'oggi rappresentano l'alibi godereccio di una forza lavoro inutilizzata, che mal sopporta il giorno perché li  vede esclusi da una normale attività lavorativa e remunerata.

 

Esercitavano, questi ragazzi dal look stravolgente, una sorta di strano presenzialismo, indirizzato verso i luoghi cosiddetti di tendenza (fighi), di cui promuovevano il lancio, perché con la loro presenza servivano da specchi per le allodole. Quei personaggi onnipresenti, diventati folkloristici, con la loro immagine animavano le serate. Inutile dire che c'era anche una lotta intestina di invidie a chi primeggiava, perché si accaparrava il prestigio da tirarsi dietro tutto il caravanserraglio, compresa la facoltà di decidere una selettiva chiusura del gruppo  a protezione degli eletti.

 

La dinamica era data in primo luogo dal look  da copertina di disco (in vinile a quei tempi) e da alcuni luoghi di incontro da cui si dipanava tutta l'articolazione dei luoghi che successivamente si andava a visitare. Potevano essere i soliti locali ma anche i nuovi se solo chi decideva di andarci era uno del branco che contava. Il Supersonic,  il Titan, l Executiv, l'Espero, i concerti a Castel S. Angelo o quelli tenuti nei vari teatri tenda, il Black Out, l’UonnaClub, l’intramontabile Piper, alcune serate all'Hemingway o se eri integralista andavi al Venis o alla Vetrina, questi sono solo alcuni dei locali che mi vengono in mente ma erano molti di più.

 

Spesso la carica “dirigenziale” era affidata ai deejay o a quelli che gestivano le serate nei locali. Fu proprio in quel periodo che esplosero i PR personaggi che per essere in auge si mettevano una giacca o un cappellino più vistoso di quelle che portavano gli altri che intendevano portarsi dietro o acconciature di capelli ancora più stravaganti degli altri. Facile immaginarsi la competitività che portava i contendenti a conseguenze di livelli esagerati.

 

Funzionavi se eri visibile e questo ti dava la possibilità di essere del giro, sembrava che dovevi avere la freccia al neon lampeggiante sulla testa che ti indicava la presenza tra la folla. In pratica chi si definiva seguace di qualche complesso, chi doveva essere l'esponente di qualche corrente rock, chi si sentiva musicista, cantante o attore, chi voleva fare il bello o la diva, si truccava e addobbava di conseguenza con una competitività tale che faceva di questo giro di gente un vero e proprio carnevale ambulante.

 

Inutile parlare del taglio dei capelli, della forma e dei colori degli abiti, tutto doveva essere vistoso. Un'atmosfera che ricordava un poco quel gruppo di dandy che Totò sbeffeggiava nel film  Totò a colori, forse ammiccando a quello che avveniva nella Capri anni '50 dei festini di Curzio Malaparte.

 

Vedere questi ragazzi era come vedere una festa itinerante, mi ricordo che in mezzo a loro davanti al bar della Pace sembrava stare dentro un locale pieno di gente festante, eppure si stava per strada e nessuno prendeva consumazioni al bar perché i boys & girls erano tutti squattrinati. Infatti era un gruppo di gente che in pratica scroccava le serate ma con un’ eleganza tale che una volta ricevuto il danno dovevi ringraziarli perché ti avevano concesso la grazia di farlo, con un atteggiamento capriccioso che li rendeva ancora più simpatici, senza parlare dell'abilità che avevano nell'imbucarsi nei concerti rock.

 

Quello che più di tutto è parso strano è che, salvo alcuni predestinati che sono entrati nella RAI o nello spettacolo, questo mondo di giovani coloriti si è poi autoestinto come un fuoco di paglia. Certo che D'Agostino e altri come lui restano ancora sulla breccia, ma non c'è stata quella ricaduta inevitabile che nel mondo anglosassone ha prodotto  l'interfaccia scenica dei film o del teatro, anche se qualcosa di simile, anche se zoppicante, è stato proposto (e anche dal sottoscritto).

 

Forse qualcuno mi dirà che mi sbaglio perché le serate dell'Estate Romana o quel gruppo teatrale (tipo  La gaia scienza) o quel film autoprodotto poteva meglio rappresentare quel periodo (Demoni di Laberto Bava prodotto da Dario Argento?).

 

L'assurdo è che, dopo tanta immagine offerta da questi ragazzi, molti dei quali facevano le comparse nel cinema, quello che di loro troviamo adesso in giro alla soglia del primo quarto di anni del duemila non sono nemmeno i cocci di quello che è stato il loro  fenomeno perché nei film recenti non troviamo traccia del look che ha caratterizzato quegli anni. Come allora o come al solito per le arti e per la cultura ci cibiamo di quello che ci propone la nostro amato/odiato sovrano impero USA nel cinema indipendente, che nel bene o nel male tiene la barra dritta verso l'innovazione.

 

 

Un esempio per tutti è il ricordo che avevo di Nanni Moretti che stava insieme con una delle ragazze immortalate da Dino Ignani: parlo di Chiara che, stufa di non vedersi considerata attrice  da lui e dai suoi amici registi, dopo anni di litigi pubblici, lo lasciò. Moretti fu sicuramente grande per aver individuato con Ecce Bombo il movimento degli anni Settanta, ma stranamente non seppe  sfruttare quello che avvenne successivamente sotto i suoi occhi e fra le sue stesse conoscenze.

 

Peccato perché un paese ricco di arte e fecondo di idee come il nostro si trova sempre a ricasco di quello che avviene oltre confine. Da qui l'innegabile importanza del lavoro svolto da Dino Ignani, con i ritratti, che hanno una forza documentaristica che va oltre le stesse foto da lui sapientemente realizzate.

 

Ci sarebbero ancora tante considerazioni da fare su una cultura popolare che, nonostante gli sprazzi di cui sopra, mantiene un livello da sistema- paese sostanzialmente conservatore con conseguente pregnanza di un look ancora ideologicamente bloccato o semplicemente legato ad uno scialbo  passato, ma proseguendo su questa tematica rischiamo di  arrampicarci su pareti sdrucciolevoli dove se non si fanno approfondite analisi è facile cadere in banalità che è meglio tralasciare.

 

Rivedere quelle foto oggi è come tuffarmi in una realtà ormai remota. Quei giovani non avevano il cellulare o smartphone e non si facevano gli SMS, non avevano computer e non scrivevano email eppure erano in continuo contatto; i componenti di quei gruppi a cui appartenevano i tipi fotografati avrebbero ritenuto inconcepibile comunicare con marchingegni tipo Facebook o a Twitter anche se riuscivano a costituire un gruppo simile a un social network, seppur marginale, in senso geografico offerto da alcuni punti di incontro prestabiliti nella Roma del centro storico serenamente abitato, dove ti potevi muovere in auto liberamente senza divieti, l'ossessione dei vigili e della ZTL.

 

Una dimensione agli antipodi dell’attuale tecnologia dove nemmeno ci si telefonava perché dopo il primo appuntamento quelli successivi si facevano quando eravamo già per strada ma dove il contatto umano, seppur filtrato dall'apparenza, era notevolmente più intenso e vivace, e dove bene o male ci si sforzava di includere tutti.

 

Veramente un altro mondo, un costume di vita irripetibile che andrebbe meglio analizzato alla luce degli ultimi cambiamenti.

 

Anni ’80 che si ricordano nel mondo dell’arte per la Transavanguardia di Achille Bonito Oliva, per Schifano, Franco Angeli, Tano Festa, Gino De Dominicis,Vector Pisani, Luigi Ontani.. e altri.. come artisti e personaggi romani, per alcune gallerie della capitale come quella di Gian Enzo Sperone alla Pallacorda che se anche adesso non c'è più ebbe un grosso seguito in quel tempo, ma che non è stato solo questo, intendo dire che è stato più complesso e caratterizzato da molti e più fattori culturali.

 

Vedo le immagini di Dino Ignani come una sequenza di avvenimenti che caratterizzavano gli anni '80, una specie di romanzo illustrato, un documentario in nuce che spiega quegli anni, unica prova o una delle poche che abbiamo di aver veramente vissuto quei tempi. Indispensabile è il catalogo dove ci stanno scritti importanti e testimonianze di Daniela Amenta, Roberto D'Agostino con l'articolo dell'85 scritto sulla rivista Rocktar e ritratto in una foto, Emanuele Trevi che in quegli anni scrisse Punk sulla spiaggia di ostia, e le dettagliate riflessioni fotografiche di Paola Paleari, non che la cura di Matteo di Castro.

 

Dino Ignani 80’s DARK PORTRAITS

a cura di Matteo Di Castro e Paola Paleari

fino al 5 gennaio

s.t. foto libreria galleria
via degli ombrellari, 25

Roma 00193

 

 


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