Molte persone sono diffidenti verso l’arte contemporanea: “non la capisco”, “mi sembrano sciocchezze” – dicono - oppure “questa non è arte”, “è tutta un imbroglio” e così via. Potrebbe eliminare queste diffidenze una visita alla mostra Un giorno così bianco, così bianco di Ettore Spalletti al Madre, il Museo d’Arte Donna Regina di Napoli.
E’ una mostra onesta. Cioè di opere di vera arte, che sono realizzate con attentissima cura e hanno una significazione e un contenuto interessante semplice e comprensibile, pur se profondo. Direi che è una mostra facile, poiché non occorre una preparazione nel campo, per godere della sua bellezza ed eleganza. Offre – è stato detto- piaceri visivi apprezzabili da tutti.
Occorre soltanto con sguardo attento abbandonarsi alle suggestioni che essa suggerisce. Credo sia giusta la sua definizione di mostra accogliente e cercherò di spiegare perché. Le opere, situate nelle varie sale, con la loro forma e il loro colore ne caratterizzano lo spazio, cosicché noi siamo accolti e avvolti in uno spazio particolare, diverso da quello comunemente pensato, che intriga e stupisce.
E' come galleggiare - è stato detto- in una sorta di acquario atmosferico. Entriamo nella prima sala, dove la scultura di un irregolare sottile tronco di un cono grigio si rispecchia nelle pitture optical alle pareti, che suggeriscono un volume curvo variamente posizionato. Rotola intorno a noi, irregolarmente cambiando il suo asse di rotazione, uno spazio grigio.
Nella sala seguente vi è invece uno spazio creato da più piani irregolarmente costruiti, come le facce dei due parallelepipedi tronchi che, accostati l’un l’altro, lo strutturano in modo anomalo. Una sintesi tra curve e piani potrebbero essere definiti sei elementi verticali messi in fila in un’altra sala: sono cilindri tagliati verticalmente, che sembrano suggerire un movimento.
La curva ritorna in una colonna azzurra che campeggia sullo sfondo : è un cilindro con un rigonfiamento al centro, la classica entasis, ed è anche una testimonianza della nostra antica storia.
Ma certo sono inadeguate le mie parole per descrivere il fascino di queste opere e i loro particolarissimi colori, simili a quelli naturali, ma mai esistiti in natura. Colpisce un largo rettangolo nero, il mistero di una notte, in cui lo sguardo impaurito affonda, mentre due piani laterali di un azzurro cielo-mare ci sostengono e rassicurano.
E che dire di una sala dall’atmosfera rosa o di quella con l’atmosfera blu-azzurra, che risalta vieppiù se la si guarda nell’ora prevespertina nella luce che entra dalla finestra? E che dire della sottile asta argentea che ha sulla punta una magica pietra alla quale corrisponde un’altra uguale situata su un cerchio, argenteo pur esso, posto in alto? Visivamente questa corrispondenza è cercata e mai trovata, perché, mentre il visitatore si avvicina all’oggetto, il cerchio assume le forme di coniche sempre diverse.
Osservo che l’efficacia comunicativa della mostra è esaltata dall’architettura del Madre, antico convento dagli spessi muri tinteggiati di bianco, egregiamente ristrutturato dall’architetto portoghese Alvaro Siza, che ha avuto l’intelligente sensibilità di lasciare visibili, al di sotto della biglietteria, le mura di cinta del VI-V secolo a. C. dell’antica Neapolis.
Adriana Dragoni
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