Una camera in più per il figlio o i figli che verranno, preoccupazione di ogni famiglia che ha il progetto di una vita migliore; il desiderio universale che unisce tutti gli abitanti della terra da quando l’evoluzione della specie umana è approdata alle costruzioni: un simile fenomeno globale è contraddetto solo in sperdute zone del mondo da forme residuali di vita appartenente a un uomo primitivo che non sente ancora la necessità di avere un ambito privato e intimo.
Esso è però lo stesso fenomeno che notiamo crescente anche nell’attuale Roma, dove, a fronte delle migliaia di occupanti abusivi (finalmente conosciuti con le ultime inchieste che hanno incriminato decine di dirigenti dell’Istituto Case Popolari), vediamo migliaia di persone che bivaccano dove possono, all’aria aperta. È quello che Igino De Luca vuole spiegare con le sue opere, che sono per l’appunto di coloro che si vedono fotografati dietro la trasparenza del lucido della pianta della propria abitazione, più quella camera destinata al figlio: opere ben confezionate e accattivanti che si vedono lungo la parete del salone circolare dell’Acquario Romano, sede dell’Ordine degli architetti romani.
Nelle opere di Igino De Luca si parla degli occupanti del MAAM, un ex edificio industriale di produzione di insaccati da carne di maiale della Fiorucci sulla Prenestina, facente parte di uno di quei piani industriali cresciuti nella città dei ministeri e del Vaticano che ha ridotto la metropoli più grande della nazione, capitale archeologica e artistica del mondo, a un caos urbanistico di cui le conseguenze che si pagano sono sotto gli occhi di tutti.
Un edificio che - come tanti della stessa specie- invece di essere abbattuto come comunemente si fa alla dismissione dell’attività ivi svolta, viene lasciato all’abbandono e nell’incuria totale. Di esempi del genere Roma è stranamente piena, come se ci fosse un piano regolatore nascosto, segreto ai cittadini ma forse molto noto ed efficiente per altri, di cui non si sanno i motivi e chi ne è il responsabile. Edifici pericolosi, inaccettabili in zone ad alta densità abitativa, che mettono a rischio la cittadinanza, mentre le responsabilità penali delle autorità preposte al controllo vengono anch’esse nascoste. Il tutto concorre ad una città piena di enti inutili, di finti uffici dove si svolgono attività sconosciute agli stessi dipendenti (come recentemente denunciato da Report), ex- caserme, ex- scuole, ex- strutture sportive, ex- fabbriche ed uffici direzionali, ex- depositi, ex- magazzini, tutti stabili abbandonati che non hanno giustificazione di esister,e ma forse utili a qualcuno.
Aree fatiscenti, edifici dismessi, quartieri malfamati che in altri paesi, quando le istituzioni locali non sono in grado di restituirle ad un piano urbano soddisfacente, vengono dati ad imprese immobiliari che, fatte le indagini dovute sui residenti, con progetti altamente speculativi ridonano splendore alle città con edifici di alto pregio, creando, oltre alla valorizzazione del territorio, anche turismo e tantissimo lavoro. Lavorano altresì con nuovi impianti costruttivi tecnologicamente all’avanguardia che rispettano o anticipano criteri di risparmio energetico e che sono rispettosi dell’ambiente e abbelliscono il paesaggio. In pratica aree o edifici problematici si trasformano in un’ opportunità di ricchezza capitalistica e collettiva di notevoli proporzioni.
Così è stata la trasformazione territoriale di una zona industriale dismessa a Bilbao che dette origine al famoso Guggenheim Museum di Frank Gehry, che ha fatto di una piccola città della Spagna evitata dai turisti perché terra dell’irredentismo Basco una meta d’obbligo della cultura mondiale; idem del resto Barcellona, che trasformò un quartiere di immigrati, prostitute e criminali, che metteva a dura prova la città in una delle attrattive mondiali di prestigio, che ha ancora successo a diversi anni dalla costruzione e riqualificazione della zona portuale, realizzazione preceduta anch’essa da un’approfondita indagine sociale. Si potrebbe parlare poi di che cosa erano i Docks a Londra e di che cosa sono diventati oggi, cioè meta di locali trendy e uffici prestigiosi con le numerose architetture sostenibili. Tutti sanno che da anni si costruisce con stampanti 3D per fare edifici; ne abbiamo per altezze di 17 metri che si comprano i Cinesi ecc. ecc.
Tantissimi esempi di fare architettura che sono la bellezza dei rotocalchi che si leggono dai parrucchieri, criteri talmente noti che sono alla portata di tutti ma pare non interessino a tanti architetti e urbanisti nostrani.
Una tendenza di riqualificazione da cui si tengono lontanissimi gli amministratori romani, incapaci di controllare e pianificare processi speculativi territoriali che darebbero un considerevole sviluppo ad una città che sempre più affoga nel degrado e nelle paludi dell’ingovernabilità, per non dire del malaffare o della mafia, che vede proprio in questi giorni indagato persino il presidente dell’opera Rom Massimo Conversi, ecc.
Se poi la “cornice” di tutto questo è una crisi economica irreversibile di cui l’Italia, con una disoccupazione scandalosa che è addirittura in crescita, meno di tutti vede una possibile soluzione, per giunta oberata da banche fallite e ladrone (proprio quelle che dovrebbero investire sul territorio), vedo in queste manifestazioni di presunta protesta delle condizioni di degrado della città come ExPATRiE qualcosa che non è convincente. Se la finalità di occupazioni come il MAAM sono la soluzione abitativa di famiglie disperate, tutto questo si dovrebbe fare per qualche giorno a carattere simbolico e dopo, come avveniva negli anni ’50-’60 al tempo del piano casa di Fanfani (piano INA casa ’49-’63, il primo e unico a carattere nazionale), gli occupanti prendevano casa, ma una casa decorosa, come quelle progettate da Muratori, Ridolfi, Quaroni, tanto per avere un’ idea di quelle che si possono vedere a Roma.
Il MAAM non può essere condizione abitativa permanente né modello culturale. Il MAAM dove i rom ed immigrati, per esperimenti culturali di professori ed artisti vengono tenuti in condizioni disumane fra rovine, topi ed insetti vari.
Se si perdono le elezioni nei municipi di periferia vuol dire che qualcosa di queste occupazioni non funziona, forse perché invece di essere simboliche sono diventate un mostruoso standard abitativo romano: non tutti trovano piacevole abitare in una città dove si vive in luoghi abbandonati e nemmeno si sentono di augurarlo a qualcuno perché già si vive male in appartamenti costosi, figuriamoci in quelli malandati, e non parliamo di quelli inventati dentro fabbriche, magazzini, ecc. Forse c’è autocompiacimento da parte dei movimenti delle case occupate e non consensi da parte della cittadinanza. Si sbandiera sempre la società civile per ricordare che bisogna essere corretti, ma ricordiamoci che la società civile sono anche le ASL, i numerosi operai e tecnici che lavorano nell’edilizia, chi si affitta una casa ecc.
In questo processo di pura follia sanzionata da un elettorato maturo che non crede a queste velleità, nell’atmosfera che si respirava al dibattito che si è svolto all’Acquario tutto questo non si avvertiva, nonostante la sonora batosta presa alle recenti elezioni comunali. Mi sento di dirlo perché gli intervenuti sono tutti politicamente schierati ed è inutile nascondersi dietro la foglia di fico dell’aiuto umanitario.
La permanente crisi economica se non peggiorerà prevede solo aggiustamenti o tagli all’esistente, quindi mi chiedo se gli studiosi che si vedevano all’Acquario avessero un’idea di un minimo di programmazione, perché non è umanitario dare speranze a gente che si sa che non potrà avere niente, a meno che, e questo è grave, non si vogliano usare come massa di manovra per scopi personali. Una considerazione va fatta anche per gli artisti che hanno partecipato al MAAM inserendo le loro opere. Gli artisti romani dovrebbero esporre al palazzo delle Esposizioni, nelle due sedi del MACRO e quella di via Crispi che hanno gli organismi preposti, personale qualificato, che invece lavora per tante belle mostre costose quanto fantasiose (che, come si sa, non attirano visitatori).
Altro esempio, William Kentridge non deve stare al MACRO perché l’opera fatta al Tevere è di richiamo internazionale e non si capisce perché non stia al MAXXI dove, con un grande allestimento, l’esposizione si dovrebbe investire di un impegno artistico più grande. Gli artisti romani non devono andare in un posto come che sia ma al MACRO perché è la sede di destinazione. Per fare questo non ci vogliono direttori speciali, bandi di concorso internazionali, nomine di cariche e contro cariche o qualifiche speciali, argomenti come la filastrocca “sul direttore” che tengono banco da anni che servono solo a chi sgomita di più, e i risultati negativi poi si vedono.
L’operazione di fare un ghetto per artisti coronato da un nome enfatico e molto pretenzioso come MAAM- Museo dell’Altro e dell’Altrove - è un suicidio culturale che gioca sull’essere outsider quando si è nella cerchia dei preferiti. Un gioco perverso ad indirizzo politico clientelare del genere “siamo i meglio solo noi, gli altri sono tutti razzisti e fascisti”, dettato dal fatto che lì ci sono gli amici degli amici, cosa che ha scatenato tra gli artisti una corsa ad essere del MAAM, con criteri tutti arbitrari. Il tutto in un luogo che per essere rivendicato per la collettività dovrebbe avere almeno i rappresentanti del municipio nella gestione dell’occupazione, cosa che non è mai avvenuta, come dire alla faccia delle democrazia…
ExPATRiE
Mostra di Igino De Luca
Acquario Romano
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