Nel Complesso del Vittoriano assistiamo ad un classico dell’arte contemporanea: le disfunzioni della società del mondo capitalistico occidentale vengono per l’ennesima volta messe alla gogna - in quanto fonte di consumismo perverso che porta alla rovina - mediante linguaggi artistici consolidati quali il ready-made inteso come riciclo e la pop art. Un classico, come per l’appunto dice Vittorio Sgarbi nel suo scritto di presentazione della mostra, anche se l’intento è spiegato con troppa generosità intellettuale.
Purtroppo, se sono veri i presupposti culturali di cui ci facciamo carico con il consumismo, il classico è semplicemente quello che viene ripetuto come fenomenica di massa, niente di più. Ridicolo è nella moda constatare che abbiamo il taglio di capelli classico lungo, corto, a sfumatura alta, a caschetto o con il ciuffo: sono tutti tagli di capelli classici perché nella proposizione consumistica della forma ogni cosa ha breve vita e quasi ogni cosa va ripetuta solo perché è il contrario dell’altra che è cambiata, o semplicemente un po’ differente.
Ma se andiamo nell’arte di alto livello le cose vanno più prepotentemente. Se pensavate che la “Merda d’artista” di Manzoni era un caso unico a se vi sbagliavate di grosso. Tanta merda è passata sotto i ponti delle più importanti e prestigiose sedi dell’arte.
The Holy Virgin Mary (La Santa Vergine Maria) è il dipinto di Chris Ofili del 1996 realizzato con cacca di elefante.
La scarpa realizzata da INSA street artist e shoes designer commissionato dalla Tate gallery è realizzata anch’essa con dello sterco.
“The Zurich Load” l’opera dell’artista americano Mike Bouche all’undicesima edizione di Manifesta, consistente in una monumentale installazione composta da 80 tonnellate di feci umane, prodotte dagli abitanti della città di Zurigo.
Gli escrementi sono diventati ormai un classico fra tantissimi artisti meno conosciuti al punto che produce effetti collaterali in passato impensabili come quello che fa la cooperativa equo solidale Vagamondi, a Formigine (Mo) con la Poopoopaper, per il progetto 'Brown is the new green' di tecnica canadese, realizza carta ricavata proprio dallo sterco di asino, cavallo, mucca e alce.
Proprio in questo fenomeno, nella schizofrenia, il consumismo rivela la sua anima mortale, perché svilisce e svuota ogni cosa in un processo di auto-cannibalizzazione. Concettualmente pertinente è pertanto l’opera di Fabio Ferrone Viola, che ne esplicita il senso proprio con il solito simbolo- padre dell’attitudine di massa, il consumo della Coca Cola con tutti i suoi annessi e connessi; si dimostra artista che a sua volta cannibalizza la Pop Art, il riciclo ecc. in un processo di smaltimento, che è in realtà il pensiero corrente a cui tutti concorriamo, direttamente o indirettamente, e di cui, anche se ad esso antagonisti, costituiamo l’apparato digerente.
L’avvitamento in basso di questo pensiero globale è sicuramente “Trash” e “Crash”, come raffigurato dall’artista, anche se di innocue lattine di bevanda si parla, concetti che in nuce poderosamente annunciava già Nietzsche, e che noi paradossalmente rispettiamo come dettame esistenziale, veicolo di sviluppo che ha come risvolto il degrado morale e ambientale.
Sfizioso è il video di Dagospia girato all’inaugurazione, oltre le opere che hanno un cromatismo di grande impatto visivo, a fare interessante la mostra è il catalogo della Gangemi per la presentazione di Vittorio Sgarbi e per l’intervista di Paola Valori che restituisce tutto il pensiero dell’artista, figlio del noto collezionista, e infine per il coinvolgimento di Unirufa.
Paola Valori, curatrice della mostra, è presidente dell’associazione Michele Valori, che ha nel progetto MICRO un prestigioso centro di esposizione d’arte.
Crush manifesto globale
di Fabio Ferrone Viola
a cura di Paola Valori
dal 5 al 31 luglio 2016
Complesso del Vittoriano Roma
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