Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

23/11/24 ore

L’origine della natura morta in Italia. Caravaggio e il maestro di Hartford


  • Giovanni Lauricella

L’attribuzione dei quadri al Maestro di Hartford fu occasione di una lunga disquisizione tra gli storici dovuta al terremoto culturale creato da Federico Zeri, che nel 1976 sosteneva che tale fosse lo pseudonimo di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, usato quando da ragazzo era nella bottega del Cavalier d’Arpino, impresario d’arte, mercante, forse collezionista, oltre che l’artista più richiesto in quei tempi.

 

I quadri tornati a riunirsi per la prima volta dopo 400 anni in occasione di questa mostra provengono dal famoso sequestro di 105 dipinti (avvenuto nel maggio 1607) che papa Paolo V Borghese effettuò, tramite agente fiscale pontificio, ai danni del Cavalier d’Arpino e che poi dette a suo nipote cardinal Scipione creatore della Villa e della raccolta.

 

Questa mostra chiude la disputa dovute alle scoperte fatte dalle recenti analisi nei laboratori tecnici, perché mette in chiaro la diversità dei due autori: per l’impianto scenico il Maestro di Hartford ha un’analogia con il Merisi proprio perché usa il fondo scuro e le luci artificiali, di candela, che danno un effetto variegato di un chiaroscuro surreale.

 

Una buia tenebra che fa emergere squisite prelibatezze che la natura ci offre copiosamente, raffigurate con un abbondanza di impianto teatrale, ma la consistenza della frutta e la ricerca cromatica sono inferiori alla pittura del Caravaggio che per le nature morte, a differenza dei quadri con figure umane, usa addirittura dei fondi chiari opacizzati come si vede nella celeberrima Canestra, conservata alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano e in via straordinaria presente in questi giorni al museo Borghese.

 

Caravaggio fece la sua rivoluzione concettuale ed iconografica sublimando il realismo esplicito delle raffigurazioni con la dotta e sottintesa conservazione del messaggio sapienziale che sottendeva le nature morte, in quanto i fiori e le frutta (che appartengono a stagioni diverse) hanno un simbolismo biblico (Cantico dei Cantici) e cristologico, che certo era ben presente alla mente del cardinale Federigo Borromeo, che donò poi il quadro alla Pinacoteca Ambrosiana.

 

 

Lo spunto meditativo che accomuna tutte le nature morte caravaggesche è quello della Vanitas, cioè della caducità di ogni creatura, esemplificata dalla resa meticolosa di foglie secche, frutta bacate, ecc. mentre la luce dorata allude al noto binomio Cristo – Sole. Il che sbugiarda coloro che hanno presentato Caravaggio come un geniale mascalzone, in quanto era soprattutto artista ricco di dottrina e capace di mistici slanci.

 

Quello che di importante vuole dire questa mostra è che Caravaggio, pur non essendo uno scrittore, lo si conosce da molte sue testimonianze rilasciate in aule giudiziarie nei diversi processi a suo carico diventate famose perché offrono importanti testimonianze sull’arte di quei tempi. In una di queste deposizioni disse che dipingeva la frutta con la stessa perizia e importanza delle figure umane. Asserzione provocatoria che non solo valeva un alibi, ma che era anche di importanza storica perché metteva al pari e alla stessa dignità temi con figure umane con quelli di natura animale vegetale o oggetti.

 

Con questa dichiarazione fatte sulle realizzazioni di suoi quadri l’opera d’arte cambia d’interpretazione e  assurge al ruolo di opera concettuale, cioè, non è il soggetto a dare la qualità al quadro ma la sua pittoricità, in barba a tutti gli storici dell’arte moderna e contemporanea che datano ad un periodo molto più recente l’inizio della modernità nell’arte.

 

 

Infatti, se la si guarda bene, la Canestra del Caravaggio, pur essendo un quadro piccolo, la cui misura maggiore è meno di mezzo metro circa, ha una tale possente fattura che lo rende un grande quadro che ti fa perdere lo sguardo in particolari incredibili, tipo, quello più curioso, il buco in una foglia di un frutto che guardandogli attraverso offre un ulteriore visuale nella quale si perde lo sguardo.

 

Prima di Caravaggio il quadro aveva valore dal punto di vista iconografico, cioè era importante perché ritraeva un santo o un re, mentre da Caravaggio in poi, inizia a prendere valore la tecnica pittorica, il valore aggiunto dato dall’arte pittorica. I fiamminghi erano già famosi per le nature morte ma gli davano più un valore di ricerca botanica e di particolari capziosi, tipo la presenza di insetti e dettagli di tessuti di tovaglie dove veniva poggiata la frutta ma senza conferirgli quell’importanza e quella forza espressiva che ebbe inizio proprio con la Canestra del Caravaggio.

 

 

Con questo non si vuole sostenere che l’arte pittorica sia nata nel ‘500, ma ricordare che da quel periodo in poi e con gli altri pittori di natura morta che ebbero un discreto furore, fenomeno avvenuto a Roma dopo il 1597-’98 anno di datazione della Canestra, iniziò l’epoca della pittura moderna quale intendiamo oggi. Per esempio, i greci antichi come i romani conoscevano la prospettiva ma è con le regole scritte nel rinascimento che si dà inizio all’uso della prospettiva; così possiamo dire che quando Caravaggio sostiene e ben realizza, come un grande maestro sa fare, copie di frutta al pari di  figura umana conferendogli la stessa importanza, inizia la nascita di questo nuovo percorso.

 

In verità molti usano la frase di Matisse «Io non creo una donna, io faccio un quadro» come inizio della pittura moderna; da questa mostra in poi si deve fare i conti con il grande Caravaggio e anche con gli altri pittori che seguirono tale tendenza, tra cui molti sconosciuti che passarono alla storia come il “Maestro del  vasetto”, il “Maestro delle mele rosa dei Monti Sibillini” o come quelli della terza sezione dedicata ai pittori che frequentarono l’Accademia del marchese Giovanni Battista Crescenzi, anche lui pittore presente con le sue opere, nel suo palazzo al Pantheon. Pietro Paolo Bonzi detto “Gobbo dei Carracci”, il “Maestro della natura morta Acquavella”- che molta critica identifica con Bartolomeo Cavarozzi -  sono artisti più o meno identificabili nonostante i fantasiosi nomi, a differenza di altri che rimarranno sconosciuti per sempre ma che hanno dato i quadri incredibilmente belli presenti nell’ultima parte della mostra al secondo piano, come il quadro della fiasca spagliata con i fiori, dove si notano i bei movimenti delle corde di paglia che avvolgono il recipiente snodarsi in forme riccamente decorative e il quadro con le zucchine lunghe che pare escano dalla cesta come serpenti in movimento; nature morte dalle proprietà cinetiche, un ossimoro già barocco.

 

Altra novità di questa mostra è che è realizzata con personale interno alla galleria a differenza delle altre fatte prima che venivano da società esterne al museo. Ma se è vera l’ipotesi di Anna Coliva, con cui concordo, con uno sguardo filtrato da tale presupposto, trovarsi di fronte ad opere attuali di alcune mostre che in questi giorni si vedono a Roma suscita molteplici spunti, e per l’appunto segnalo tre mostre che mi sono sembrate molto interessanti.

 

 

Al Montoro 12 Contemporary Art, Nicholas William Johnson in “Dewdrinker”, titolo della mostra, personifica con i suoi dipinti di frutta colui che beve la rugiada al mattino percependo il liquore aromatizzato del petalo di rosa e provocando particolari conoscenze sensuali del mondo vegetale rievocando un’utopia di Thomas More.

 

 

Al Frutta Gallery Ditte Gantriiscon il suo “Sexual Feeling” propone un impianto scenico grandioso, un’installazione gigantesca con ortaggi e insaccati in vetro soffiato colorato, realizzati in collaborazione con un mastro vetraio. Forme che suggeriscono l’assaggio e alla soddisfazione del consumo “presentando una sorta di miraggio – a vista ma costantemente irraggiungibile. Cibo da masticarsi nella mente piuttosto che nella bocca” come dice George Vaseynel testo di presentazione.

 

 

E se di una natura morta non si tratta, si tratta di un coacervo di forme pigmentose opportunamente composte, come alla Francesca Antonini Arte Contemporanea, dove  Gregory Hayes in “I am the sun” , realizza una mostra pregna di quella metabolizzazione dell’esperienze dell’espressionismo astratto americano e della gestualità istintiva di Jackson Pollock e della meticolosità di Agnes Martin: “alla base della sua pratica è la componente processuale e organica della pittura, insieme all’analisi e sintesi dei vari elementi che ne compongono la sintassi”.

 

Mostre lontanissime nel tempo e molto differenti ma “vicinissime” secondo il concetto espresso da Anna Coliva.

 

Galleria Borghese Roma

L’origine della natura morta in Italia

Caravaggio e il maestro di Hartford

A cura di Anna Coliva (direttrice della Galleria Borghese) e di Davide Dotti

 

 

Montoro 12 Contemporary Art

Nicholas William Johnson

Dewdrinker

 

 

Frutta Gallery

Ditte Gantriiscon

Sexual Feeling

 

Francesca Antonini Arte Contemporanea

Gregory Hayes

I am the sun

 

 


Aggiungi commento