Mostra monografica di Cesare Tacchi (1940 – 2014) a tre anni dalla sua scomparsa, artista romano poco celebrato per il suo valore. Personaggio di quella Roma degli anni ’60 – ’70 in cui l’Italia era di moda per americani e nord europei, interesse creato da film come “Passeggiate romane” e da altri di Fellini. Una situazione di turismo culturale imparagonabile con i tempi d’oggi quando all’estero vantavano di aver avuto una permanenza in Italia e Roma per frequentazioni culturali.
Quello che era ancora più stupefacente è che gli esponenti artistici nostrani competevano a pieno titolo con il mondo intero. Erano molto apprezzati, facile immaginarsi cosa era piazza del Popolo e cosa poteva essere un gruppo di artisti a essa legata. Oltre Cesare Tacchi, Tano Festa, Mario Schifano, Franco Angeli, Giosetta Fioroni, Jannis Kounellis, Pino Pascali, Sergio Lombardo, Renato Mambor, Mario Ceroli erano la così detta scuola di piazza del Popolo che animavano le serate con intellettuali, scrittori, poeti, registi, attori ecc.
Un vero mito anche se per alcuni di loro bisognerebbe parlare della scuola di Cinecittà perché da li che provenivano Cesare Tacchi, Renato Mambor e Mario Schifano altro che piazza del Popolo! Parlo della Cinecittà descritta da Pasolini, periferia di quando non c’era la metropolitana, quando era un altro mondo nel resto della città …
Cesare Tacchi esordisce nel ‘64 con grandi quadri che hanno sagome su fondi damascati, decorazioni tipo tappezzeria. Sono piatte raffigurazioni con qualche imbottitura sulle sedute che da spessore quasi tridimensionale. Visioni in un interno di un angolo di casa resa grottesca da un eccessivo decorativismo, una sottile accusa alla vita borghese, alle formali relazioni, alla falsa quotidianità, forse ascoltando come ogni ventenne di quel tempo The hause of the rising sun degli Animals che in quell’ anno ebbe uno straordinario successo mondiale.
Un verso polemico al boom economico e ai successi in genere che si vantavano negli anni ’60. Definito Pop come gli altri di piazza del Popolo si è sempre tenuto alla larga da generi e definizioni. Nella mostra pare si dimentichi che tutti gli artisti erano politicamente impegnati come pure i galleristi e i collezionisti, tutto quello che producevano era finalizzato alla politica.
Altro argomento poco evidenziato è che era il periodo della così detta “morte dell’arte” perché il vero impegno doveva essere solo quello sociale e di portare avanti la rivoluzione. Il ’68 fu una specie di anticipazione di una rivoluzione mai fatta che era nella fantasia di molti degli attivisti che poi svilupparono gli anni di piombo.
Molti artisti si sentivano avanguardie, desideravano questo ruolo. Cesare Tacchi si pone rispetto al pubblico dietro una lastra di vetro che dipinta di bianco perde la trasparenza e lo copre alla vista, la “cancellazione d’artista” eseguita nel ’68 alla galleria La Tartaruga fotografata dal gallerista Plinio De Martiis, aveva questa motivazione ideologica altrimenti sarebbe stata una semplice burla.
Nel ’72 si nega e fa la stessa performance all’inverso nelle foto di Elisabetta Catalano. Di quest’artista rimangono tante idee e numerose proposte visibili in differenti sale, dove sono esposti disegni, foto, scritti, oggetti-quadri , arredi impossibili e varie installazioni alcune delle quali interattive.
Degli artisti di piazza del Popolo Cesare Tacchi fu uno tra i più completi che seppe affrontare disegno, pittura, scultura, architettura, performance. Più di cento opere occupano il piano terra del Palazzo delle Esposizioni, la mostra è veramente interessante e ben fatta e restituisce il meritato valore a un artista tra i più importanti che abbiamo.
Promossa da Roma Capitale - Assessorato alla Crescita culturale, ideata, prodotta e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo - Palazzo delle Esposizioni, realizzata in collaborazione con l’Archivio Cesare Tacchi.
Catalogo di Daniela Lancioni e Ilaria Bernardi che include scritti inediti di Cesare Tacchi.
Cesare Tacchi. Una retrospettiva
Palazzo delle Esposizioni
7 febbraio – 6 maggio 2018
A cura di Daniela Lancioni e Ilaria Bernardi
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