Tra le celebrazioni più importanti di cui abbiamo parlato ultimamente per ricordare il periodo artistico del ’68 di spessore internazionale c’è "Imagine. Nuove immagini nell'arte italiana 1960-1969" curata da Luca Massimo Barbero al Peggy Guggenheim, a Venezia.
Tra tutte le mostre è forse quella più spettacolare che offre molti spunti ma bisogna essere un abile investigatore più che un normale spettatore, cercando di essere più attenti alle didascalie che alle opere esposte.
In questo caso più della mostra bisogna parlare della posizione culturale assunta dal curatore, Luca Massimo Barbero, ottimo catalogo della Marsilio, che in maniera molto sibillina descrive gli artisti e l’arte del periodo del ’68 con definizioni che lasciano pensare. Parla di movimento sotterraneo, carsico, di carboneria o di carbonari, termini che mascherano bene il non detto che proverò a spiegare.
Quello che dirò sono concetti non nuovi per chi ha seguito le mie recensioni proprio perché mi sono già interessato del valore politico dell’arte, un argomento in voga proprio negli anni che si vogliono celebrare ma che allo stesso tempo, incredibilmente, si tenta di nascondere.
Mi riferisco a quella forma di strano pudore insieme a una voglia di tradimento che attanaglia i fautori dell’arte “impegnata” che trovandosi in posti di potere nell’attuale periodo, che già da tempo ha voltato le spalle alle idee, ha enormi difficoltà ad affermare i contenuti.
Scusate se invado il terreno dei politici ma mi sembra l’identico atteggiamento che ha la sinistra che non ha niente da dire su quello che gli ha fatto ottenere il potere e sui valori che ha imposto, una schizofrenia che non gli permette di comunicare e ne di recepire istanze sociali.
Ritornando all’arte, tutti coloro che vengono attualmente ricordati come grandi artisti è perché prima di tutto erano comunisti legati al partito. Un fattore non secondario che viene abilmente glissato e che, come ha detto lo stesso Luca Massimo Barbero, la mostra "Imagine. Nuove immagini nell'arte italiana 1960-1969" deve essere vista per come sono le opere e per la loro bellezza, cioè tutto il contrario di quello che è stata la situazione politica che le ha create.
Infatti, Barbero, mette il nome inglese imagine, per intendere quello estetico, il senso opposto di quello che intendevano gli artisti quando le hanno realizzate. Curioso no? Della serie c’è chi può o altro?
Bando alle polemiche perché verrebbe fuori un lungo scritto quanto un libro da pochi condiviso che fa più nemici che amici.
Per i cultori del Pop italiano e dell’arte povera questa mostra è una tappa immancabile che, secondo il curatore, procede per contrasti, sbalzi, "inciampi creati da dissonanze e verifiche". Gran parte della mostra è un inno a Mario Schifano come ha ricordato Philip Rylands, direttore della Peggy Guggenheim ma non mancano opere degli artisti più importanti del drammatico periodo anche se stranamente si ricorda come se fosse una festa: Franco Angeli, Festa, Mario Ceroli, Domenico Gnoli, Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis, Fabio Mauri, Giosetta Fioroni, Mimmo Rotella, Francesco Lo Savio, Giulio Paolini e Pino Pascali.
Si procede per sezioni: da 'Materia e schermo' (dove l'immagine trova nella velatura, nella stratificazione la sua identità), a 'La nuova mitologia' (la storia dell'arte mista alla cronaca), a 'Immagine, fotografia e cronaca' a Mario Schifano "che dalla dimensione di affioramento alla superficie giunge a nuove figurazioni". Infine “La forma della metafora, le forme della natura (!? Non mi ripeto). Barbero dice "è una mostra rivolta anche ai giovani" ( .. sapesse come hanno votato!).
"Imagine. Nuove immagini nell'arte italiana 1960-1969"
Collezione Peggy Guggenheim, a Venezia
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