Il ritratto del volto è colto da Stephane Graff in una chiave allusiva molto intrigante. Parlo di un’analitica forma pronunciata interpretativa di un fenomeno, che costituisce il linguaggio artistico dell’artista franco-inglese che, come un Lombroso all’incontrario, vuole dimostrare che un viso ritratto da un quadro o da una foto non restituisce l’autentica identità: una costatazione paradossale che l’ha portato a realizzare vari temi similari dove chi appare ritratto ha gli occhi coperti, interpretazione che è diventata la sua cifra compositiva ripetuta in maniera seriale influenzato dalla psicoanalisi di Freud e Jung; alla stessa maniera scientifica potremmo dire di un’ossessione che è la patologia di cui è vittima.
Ma quando si opera con una copertura si rende invisibile una parte del corpo o di una persona, ragion per cui subito ci si chiede che cosa c’è, chi c’è dietro, perché chi copre esercita un processo di occultamento, stimola l’ipotesi di una possibile immagine, di qualche mistero insidioso nascosto, provocando la stessa inquietudine che suscita la maschera.
Non c’è da stupirsi che tale sensazione sia stata sfruttata per intimorire, e non a caso molti sono stati i film horror, dove la copertura dell’identità corrispondeva a una minaccia. Lo stesso autore non fa mistero di essere influenzato da Hitchock.
Chi compie un atto illegale si copre il volto, chi compie atti osceni tenta di non farsi riconoscere. In molte foto e video porno si usano le bende nere agli occhi degli attori, anzi, si potrebbe dire che se ci sono quei rettangoli neri è perché l’atto è veramente scandaloso, più compromettente di una foto dei medesimi personaggi a viso scoperto; sembrano le sottolineature delle parole a cui bisogna prestare attenzione, o le frasi censurate sostituite da puntini, segno di evidenza che spesso coincide con l’osceno, con il vergognoso.
Contrariamente alle intenzioni dell’artista, ho avuto queste sensazioni alla vista dei grandi quadri che occupano le pareti della Galleria Muciaccia, dove primeggiano gli scenari da gran galà in cui persone ben vestite di scuro sono insieme sedute attorno a dei tavoli in una ipotetica festa lussuosa, in ambienti di ostentazione quasi teatrale del potere che mi hanno fatto fare una ulteriore capriola mentale.
Anche se le scene ritratte da Stephane Graff sanno di vintage, anni ’50 per giunta, in bianco e nero come le vecchie foto, mi è balzato in mente prima Bunuel e il suo mitico “Fascino discreto della borghesia” con “Eyes wide shut” di Kubrik, e poi un più recente film di successo, “La grande bellezza” di Sorrentino, che ritrae una borghesia fastosa e decadente in ampi saloni, che quando non balla è anch’essa seduta intorno ai tavoli pronta a mangiare, con un’ingordigia da intendersi in senso esteso, in quanto è una èlite sociale corrotta dal potere.
Sorrentino si riferiva alla borghesia romana di stampo berlusconiano, baluardo del sistema con sospette ombre di collusione inquietanti, in una cornice di “bellezza” di ispirazione felliniana, vedere i quadri di Stephane Graff, a mio avviso, potrebbe assumere una simile avversione.
Questo flash che c’entra con i quadri di Stephane Graff? Forse niente, ma io penso che se Sorrentino avesse messo le bende agli occhi dei suoi attori avrebbe in un solo ciak fatto tutto il film. Infatti, noi spettatori ci saremmo immaginati tutto l’osceno che quelle coperture potrebbero nascondere, tutta l’illegalità, tutta la repellenza, e ovviamente, la decadenza di una borghesia che avendo avuto tutto è ormai giunta al collasso, cioè il film”La grande bellezza”.
Immagini che mi sono sembrate dei bozzetti teatrali fatti per dei rappresentanti del potere costretti dalla volontà popolare a nascondere il volto, a celare la sua oscena identità. Se poi a tutto questo si aggiunge l’enfasi scenografica dei saloni dove Stephane Graff ritrae i soggetti, viene a rafforzarsi ancor di più una visione giacobina, quella tendenza giustizialista che sfortunatamente fa la politica. Non me ne abbia l’artista, riconosco di essere andato fuori tema.
Tornando quindi alla mostra, ottimi sono il catalogo e gli scritti di Costantino D’orazio, stupenda è l’intuizione dell’artista; ritengo Eydentity un argomento eccellente in assoluto. E non me ne voglia la galleria; chapeau a tutti gli organizzatori per la valida realizzazione e, ovviamente, invito tutti a visitarla.
Eyedentity
Stephane Graff
dal 23 marzo fino al 5 maggio
Alla Galleria Muciaccia Roma
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