Dispiace parlare in tono d'addio a un personaggio cha fa parte del tuo vissuto personale, è come separare una parte di te stesso e gettarla via, per questo dirò poche parole su un artista che ha detto e fatto tanto per l’arte.
Frequentavo Emilio Leofreddi (1958-2023) prima ancora che intraprendesse la carriera artistica…
Era tra quelle conoscenze che forse era meglio non avere, perché purtroppo quasi sempre il talento artistico si rivela con un atteggiamento asociale, spesso anche pericoloso: e lui cavalcava questo cliché alla grande, era un fiero condottiero di tale concezione, aveva il carisma e anche l'aspetto, alto e smilzo, e con il ghigno ombroso, pronto a mordere anche se con gli amici si faceva simpatico e premuroso.
Pure la sua indivisibile compagna era speculare a lui nel senso femminile, tanto che visti insieme sembravano due rockstar. Due personaggi inconsueti e rari nella scena romana, al punto che per feticismo a chiunque faceva piacere stare con loro.
Con questo spirito lo rivedevo nelle numerose mostre, che ben presto si susseguirono come un turbine nella sua carriera in continua ascesa, al punto che ebbe incarichi di opere pubbliche importanti, come quella che fece alla Piramide di fronte la stazione dei treni che portano a Ostia.
Quella serie di sagome umane a ricordo delle vittime dei nazisti resta uno tra i migliori monumenti di arte contemporanea fatti a Roma, di cui percepivi il significato mentre ne apprezzavi l'estetica.
Poi, quando iniziò a prendere quota, Emilio per me scomparve e non lo vidi più: sapevo che era importante e leggevo qualche articolo su di lui quando mi capitava e basta. Con il Covid, che oltre alla malattia fu anche la mannaia micidiale dei rapporti umani, Emilio Leofreddi restò un ricordo di gioventù.
Qualche anno fa, casualmente, seppi della sua scomparsa. Pensavo fosse stata causata dalla vita smodata a lui tanto congeniale, invece appresi che fu un infezione (contratta durante un ricovero in ospedale dovuto a un banale incidente) che gli costò la vita.
Immaginate quanto è surreale venire a sapere che è scomparsa una persona che vivi nel tuo immaginario, e soprattutto se una stupida caduta ne è stata la causa.
Così ieri, quando vedevo le sue opere al Wegil per la mostra - giustamente - commemorativa, tutto l'apparato mi sembrava metafisico.
Poi, al piano superiore, il clima surreale aumentava di intensità, con tutto il sottobosco artistico romano accorso per celebrarlo, in un clima di festicciola da paese con bicchierini e pizzette e un DJ set che ti faceva saltare dalla sedia con musica tecno-dance sparata a cannone.
Paradossalmente tutto questo triviale godere perché il caro Emilio Leofreddi non è più con noi, esprimendo appieno la contraddizione di un mondo assurdo, che come uno schiacciasassi passa su tutto e appiattisce anche le persone care e valide in strati di testimonianze per futuri studi antropologici.
La mostra, curata da Giuseppe Stagnitta, con la collaborazione dell’Archivio Emilio Leofreddie con il contributo di Amnesty International Italia, è patrocinata dalla Regione Lazio, in collaborazione con LAZIOcrea, e viene prodotta dalla Clode Art Gallerycon la partecipazione della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale e Poema.
Il progetto, promosso dall’assessorato regionale alla Cultura, consiste nell’esposizione di oltre 150 opere – tele, disegni, installazioni, video, appunti, fotografie – dagli anni Novanta fino alla sua morte (in mostra anche i 3 video Im Media, Contact e Caos acquisiti da Palazzo Esposizioni di Roma).
Il catalogo curato dalla Magonza Editore. L’Archivio Emilio Leofreddi è curato dalla figlia Asia Leofreddi e dalla moglie Marina Mesnic.
Emilio Leofreddi
Wegil
31 maggio - 31 agosto
Largo Ascianghi 5 Roma
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