di Vincenzo Basile
La Norma che ha debuttato al Teatro Verdi di Trieste è già attesa al Metropolitan di New York, dove l’ interprete, a conclusione del lungo tour europeo, aprirà la stagione 2017/18. Nata a Riga nel 1980, Marina Rebeka, si è diplomata nel 2007 all’Accademia di Santa Cecilia. Non è nuova alla scena newyorkese nella quale, sempre al Metropolitan, è già stata Violetta nella Traviata.
Consapevole dell’asperità della prova che l’attendeva e degli inevitabili, melomaniacali confronti nei quali si sarebbe impelagata, la cantante ha dato in anticipo prova di grande riguardo e umiltà, prima che di bel canto, per il Mito a cui sarebbe stata accostata. Prima dell’esibizione aveva infatti dichiarato che al momento di intonare “Casta Diva” avrebbe davvero tremato, data l’inevitabilità del confronto con l’impareggiabile prestazione della Callas, la suprema Norma di sempre. Avendo considerato però che quell’Aria è una preghiera per la pace e che mai come oggi ne abbiamo urgente bisogno, data l’attuale situazione mondiale, darsi coraggio è diventato per lei la missione da compiere al di là della sua estrema difficoltà interpretativa: teatrale e musicale.
L’allestimento è l’originale andato in scena al Petruzzelli di Bari poco prima dell’incendio del 1991, per la regia di Federico Tiezzi, ripresa da Oscar Cecchi. Nel ruolo di Pollione, il tenore spagnolo Sergio Escobar. In quello di Adalgisa il soprano russo Anna Goryachova, Andrea Comelli nel ruolo di Oroveso, Hanna Yevtiekhova in quello di Clotilde. La parte di Flavio è affiffidata al tenore giapponese Motoharu Takei. L’orchestra Stabile del Teatro Verdi e il Coro diretto da Fulvio Fogliazza, completano l’ensemble.
Ad apertura di sipario, è la scenografia di Pier Paolo Bisleri, improntata all’essenzialità neo-classica, ad evocare la colonizzazione romanica della Gallia, che permea ciò che rimane della conseguente decadenza in cui si svolge la vicenda di Norma.I retrostanti fondali di Mario Schifano, miracolosamente recuperati dopo il disastro, fanno da sfondo.
Colonne di luce che piovono da cielo a terra, sembrano voler sottolineare la classicità vincente che sovrasta il tramonto spirituale dei vinti. L’impatto visivo complessivo, pur nel suo esplicito minimalismo, volente o nolente il regista, diventa (a ben pensare) ipertestuale e questa percezione viene confermata alla vista dei costumi tardo settecenteschi indossati dai personaggi che si contendono la scena.
L’insieme scricchiola e l’aggiunta dei fondali di Schifano, che non riesce ad andare al di là di una funzione meramente celebrativa del grande maestro della transavanguardia, certo non chiarisce le intenzioni del regista lasciandole, quali che siano, difficili da decifrare.
Provvidenziale, a risollevare gli animi, arriva l’entrata in scena della Rebeka. Colore e calore vocale, recitazione e movimenti sono assolutamente all’altezza delle non certo modeste aspettative. Sin dall’iniziale Sediziose voci, la soprano prende pieno possesso della scena e dell’auditorio impersonando al suo meglio il carattere volitivo e complesso della sacerdotessa druidica e così di seguito fino alla temuta “Casta Diva”e oltre. Riuscendo magistralmente a essere cantante e attrice in tutte le sfaccettature di cui si compongono le due impegnative prestazioni, fin nelle più sottili sfumature e sinergie. Dall’articolazione, alla dizione, agli accenti fino ai movimenti in controscena, ai sussurrati, i recitativi e il canto pieno e variegato di tutte le coloriture di cui è capace, l’insieme fluisce rivelando una professionalità completa nonostante la maturità possa appena essere intravista, data l’ancor breve carriera ed esperienza lirica.
E’ il Dono. Quello di una vocalità che non si impara in Conservatorio ma si può solo coltivare in omaggio alla fonte da cui proviene.
L’Orchestra del Verdi ha il suo merito nella riuscita dello spettacolo grazie anche alla direzione di Fabrizio Maria Carminati e ai componenti il Coro, tutti brillantemente impegnati a restituire le intenzioni dell’autore. Anna Goryachova ben reggenei duetti con la protagonista sfoggiando l’empatia e duttilità necessarie.
Sergio Escobar, un po’ ingessato all’inizio, si scioglie gradualmente fino al travolgente, appassionato, duetto finale con Norma. Più che dignitose le prestazioni degli altri; dall’Oroveso di Andrea Comelli, al tenore Motoharu Takei (Flavio) e del mezzosoprano Namiko Chishi (Clotilde).
Il pubblico, quello di Trieste, usualmente non incline a facili entusiasmi, ha saputo riconoscere i meriti di tutti. È per la soprano non un punto di arrivo ma di partenza. Per l’Opera di Riga con una “Boheme” il 30 aprile e un Gala Verdi, il 12 giugno. L’America può attendere.