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23/11/24 ore

Ascendant, il nuovo album di Domenico Quaceci: intervista con l’autore



di Antonello Anzani

 

Ho ricevuto il nuovo album - termine forse retrò, ma molto più adatto di altri - di un giovane autore: Domenico Quaceci, Ascendant il titolo.

 

D’impatto noto la copertina: un richiamo alla mia memoria, suggestioni da Pink Floyd. Lo ascolto e mi ritrovo catapultato in un’atmosfera confortevole, ma non sempre confortante. La musica strumentale per solo pianoforte non è un genere che ascolto sovente, ma questo mi colpisce.

 

Fra le note che si inseguono in melodie sempre limpide, anche nei momenti tormentati, riesco a cogliere frammenti di emozioni che si ricompongono durante l’ascolto.

 

Dopo un po’ che sono immerso nell’ascolto, il racconto mi diventa più chiaro e i riferimenti e le influenze saltano fuori evidenti, ma mai scontate o banalmente espresse. L’atmosfera coinvolge e fa venir voglia di saperne di più di un autore che si porta dietro una robusta formazione classica e un’anima che cerca nuove soluzioni adatte al suo tempo. 

 

Domenico Quaceci, con la sua musica, cerca risposte a quesiti eterni e che non si preclude spazi, riferimenti ed influenze. In più momenti ci sono fratture nel rigore competitivo che portano nuove emozioni, nuove suggestioni; credo che questo avvenga in ogni ascolto, portando l’ascoltatore su nuovi sentieri non necessariamente inesplorati, ma di sicuro percorsi con riscoperta curiosità.

 

Qualche tempo dopo, ci riesce di organizzare quella che i ben informati chiamano “call”. E così mi trovo di fronte, anche se con uno schermo in mezzo, un giovane musicista alla sua seconda opera. Di certo, giovane rispetto a me.

 

Mi racconta del suo mondo, delle sue scelte artistiche, delle sue influenze - giuste per la sua età: musica classica, sinfonie, concerti pianistici; Chopin, Litz, ma anche contemporanei come Allevi ed Einaudi.

 

Com’è giusto che sia, le nostre opinioni divergono su alcuni aspetti e convergono su altri. Una persona piacevole questo Quaceci, penso scevro da pregiudizi. Gli dico che trovo interessante il suo lavoro, anche se avverto qua e là delle indecisioni, delle imprecisioni, delle insicurezze. Sono certo che risolverà le sue criticità regalandoci l’ascolto di una musica intensa, fresca.

 

 

 


 

Antonello Anzani - La scelta compositiva denuncia chiaramente una tua vena romantica (intesa in senso culturale). A suo tempo rappresentò un elemento di rottura rispetto a canoni neoclassici e con un senso di apertura al racconto diverso: non più epico e metaforico, ma spesso diretto e ricco di emozioni e passioni. Quali consideri i tuoi riferimenti musicali, sia come esecutore che come autore nella tua formazione e perché? Se esiste un perché.

 

Domenico Quaceci - I miei riferimenti sono molteplici. Sicuramente i moderni Ludovico Einaudi, Giovanni Allevi, Roberto Cacciapaglia sono coloro che mi hanno mostrato, quando ero giovane, che il pianoforte non è solo uno strumento da “musica classica”. Maturando negli studi però mi sono avvicinato di più a dei classici come Debussy e Chopin, cercando di mettere i loro insegnamenti e tecniche in una musica più moderna. Infine non posso che citare tutta la musica che ascolto, che spazia dal rock degli anni d’oro come i Queen, agli anni ’90 e 2000, al post rock dei Sigur Ros.  La motivazione è dettata principalmente dai miei gusti musicali e secondariamente (e questo “secondariamente” talvolta diventa una forte necessità) dal bisogno di studiare nuove tipologie musicali.

 

A. A. - La musica pianistica (lasciami passare il termine), si è divisa subito in due filoni: chi riteneva necessario tracciarne una cornice letteraria - originale o ripresa da autori romantici della letteratura, molti dei quali furono “saccheggiati” per i libretti del melodramma italiano, che dovettero però pesare nella nascente letteratura europea -, e chi riteneva che la musica bastava a se stessa e non ci fosse altro da aggiungere in senso letterario. Quale pensiero sposi maggiormente, se lo fai? Oppure ritieni che la scelta sia legata al momento e frutto di un’esigenza creativa, quindi imprendibile a priori?

 

D. Q. - Di certo, storicamente, la musica è stata servitrice della parola per lungo tempo. Alle parole “la musica basta a se stessa”, ricollego solo la musica barocca di J. S. Bach; dopo di lui la musica è sempre stata al servizio delle altre arti, come danza e immaginazione che, ai giorni nostri, trova concretizzazione nella cinematografia, quindi arti visive. Penso che la scelta non debba essere d’obbligo, ma sicuramente è dettata dal contesto. In breve: mi piacerebbe che la musica bastasse a se stessa ma, così facendo, si rischia di dimezzarne il potenziale.

 

A. A. - Nell’esecuzione dei tuoi brani, sei più attento alla perfezione stilistica dell’esecuzione o al contenuto emotivo? Probabilmente una scala di valori che veda questi due punti come limiti, si colloca su un asse che varia a seconda della sensibilità del musicista: tu dove ti collocheresti? 

 

D. Q. - Se posso, divido la risposta in due: per quanto riguarda l’esecuzione live, il contenuto emotivo è tutto; nell’esecuzione da studio, dove poi la traccia resterà fissata e sarà sempre quella, la perfezione stilistica ritengo sia più importante.

 

A. A. - Nell’elaborazione delle tue storie, prima che diventino musica attraverso cui dare chiavi di lettura, hai dei riferimenti letterari? Se sì, quali? Ci sono autori che, pur esprimendosi con altri linguaggi artistici, ti hanno influenzato nella tua formazione e ti influenzano ancora nel modo di raccontare?

 

D. Q. - Nell’atto concreto della creazione di un mio brano, quando voglio raccontare una sensazione o una idea, mi rifaccio molto a Debussy che a sua volta si rifaceva ai pittori impressionisti. Cerco di catturare delle sensazioni, così come avviene nei quadri di quel periodo artistico: non ci sono linee di demarcazione netta ma si riesce comunque a distinguere un paesaggio o una sagoma.

 

A. A. - Oltre che musicista, sei un ascoltatore e ascolti, come detto, anche altro rispetto al tuo ambito. Quale musica e quali autori trovi stimolanti, sia per un mero piacere che d’ispirazione per soluzioni musicali e linguistiche? In generale, dunque, cosa ami ascoltare con gli amici in una piacevole serata di relax o mentre ti improvvisi cuoco? (Se non cucini, prova ad immaginarti alle prese con i fornelli a preparare una cena per quella persona così speciale…).

 

D. Q. - Non esagero se dico che nelle mie playlist è possibile trovare musica house-elettronica e subito dopo un quartetto di archi scritto da Mozart. Ascolto molta musica commerciale, cerco di capirne le formule strutturali che rendono un brano adatto alle orecchie di tutti. Ma ovviamente dipende dal contesto: in palestra ascolto gli AC/DC, mentre rispondo a questa domanda ho in sottofondo Damien Rice, con gli amici mettiamo musica che possa mettere d’accordo un po’ tutti: da Battisti a Fedez, non mi pongo limiti.

 


 

Chiusa la telefonata… pardon, la call, ancora una volta ascolto Ascendant di Domenico Quaceci e mi convinco che, in fondo, le cose non sono del tutto compromesse.

 

 


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