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18/10/24 ore

Musica. Chiacchierata a tempo di blues con Robert Caruso



di Antonello Anzani

 

Conosco Robert Caruso da quando eravamo adolescenti, anche se i pochi anni di differenza (a mio svantaggio) ci ha distanziati in un'epoca ricca di fermenti. Antesignani dell’accelerazione generazionale, culturale non biologica che caratterizzano i nostri tempi. Io solitario appassionato di blues e culturalmente attratto dai cantautori italiani, vero punker e ribelle lui. 

 

Anche se non abbiamo avuto una vera amicizia. In una piccola città come quella da dove veniamo entrambi non ci sono molte alternative e ci conosce un po’ tutti, almeno così era per noi. Ci s’incontrava per strada e ci si osservava con curiosità. 

 

Poi come tutti o quasi, partimmo e tempo dopo seppi che era andato in Inghilterra. Ad inseguire le sue illusioni, qualcuno disse, immagino che invece fossero i suoi sogni. Nel piccolo mondo dei social ci siamo incrociati di nuovo e abbiamo fatto una chiacchierata a tempo di blues.

 

 

****************

 

 

Antonello Anzani: Hai mai avuto ripensamenti per questa scelta? Cosa hai detto a te stesso per convincerti?

 

Robert Caruso: Imparai a suonare la chitarra a 10/11 anni, era il 1976. Feci i miei primi concerti nel 1978 ed ero già al liceo, quindi non c’è molta differenza... “cronologica”. Gli anni ‘70 li ricordo bene perché credo di essere stato sempre un po’ “precoce”. Già nel 1983 non vivevo più a Cosenza, ma a Roma (fino all’estate 1985, poi venni a Londra). Avendo un fratello e cugini più grandi di me di oltre 10 anni, ero a conoscenza di Beatles, Dylan, ecc.. già a 10 anni. 

 

I dischi di mio fratello erano o Prog Rock inglese (Yes, Genesis, EL&P, Jethro Tull, King Crimson, ecc..) o cose hippy della California (Jefferson Airplane, CSN&Y, ecc..) che trovavo inascoltabili. Aveva 3 album che erano l’eccezione: Imagine di John Lennon, Blonde On Blonde di Dylan e la colonna sonora di American Graffiti (un “treasure trove” di classici Doo Wop, più Chuck Berry, Buddy Holly, Fats Domino, Beach Boys) e alcuni singoli: Elvis, Creedence Clearwater Revival, T Rex, Rolling Stones, Led Zeppelin. Tutte cose con radici nel Blues, quindi il Blues fu il punto di partenza, e per Blues – che é un genere MOLTO vasto – intendo i Blues del Mississippi: o pre-WWII (Robert Johnson, Skip James, Son House, Charley Patton, ecc..) o quei bluesmen del Mississippi che post-WWII andarono a Chicago e crearono il Blues elettrico, il “Chicago Blues”: Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Elmore James, Jimmy Reed, John Lee Hooker e Little Walter e Sonny Boy Williamson II (Rice Miller, non John Lee ‘Sonny Boy’ Williamson I che io scoprii più tardi; avevo imparato a suonare l’armonica prima della chitarra). 

 


 

Il Rock’n’Roll ha le radici in Blues e Gospel, quindi non ho mai veramente differenziato tra i 2, incluso anche alcuni cantanti di C&W; Hank Williams in particolare. C’era gente a Palazzo Degli Uffici (luogo di ritrovo negli anni ’70, ndr) con collezioni di dischi INCREDIBILI.

 

Quando arrivò il Punk Rock alla fine del ’76, io ero già un “greaser”: leather jacket, jeans, stivali, occhiali scuri, ecc.. Quindi il passo da Rock’n’Roll a Punk Rock per me fu breve. Le prime band di Punk Rock era gente che voleva tornare a canzoni veloci, ballabili, di 3 minuti (al contrario di Pink Floyd, Genesis, ecc..), cioè lo stesso spirito di Elvis, Little Richard, Bo Diddley, Jerry Lee Lewis, Eddie Cochran, Gene Vincent, ecc.. A 15 anni la mia più grande aspirazione era di suonare la chitarra come Chuck Berry. Johnny Thunders – col quale poi divenni amico – che ha inventato “Punk Rock guitar” ed anche Steve Jones dei Sex Pistols, ecc.. avevano radici in Chuck Berry come chitarristi, ma con un sound più duro, e Chuck Berry in Elmore James e Elmore James in Robert Johnson. Quindi c’era una “line of descent” alla quale mi sono legato.

 

Non ho rimpianto l’aver lasciato l’Italia per un secondo. I miei genitori mi trattavano male (in un appartamento di 8 stanze non mi diedero mai una stanza mia, il che mi costrinse a stare sempre per strada, a Palazzo Degli Uffici con Capi i’ Muartu, ecc..!!!. Mio fratello é sempre stato uno stronzo; ora sta cercando di fregarmi quello che mi ha lasciato mio padre che é morto nel Dicembre 2020 con atti illegali, ecc..; all’università di Roma non funzionava niente: riuscì a dare 2 esami in 2 anni (a Londra ho preso BA, MA e PhD in 7 anni - e a UCL che ogni anno é tra le prime università del mondo per “meriti accademici” nelle “league tables”: é dove hanno sequenziato il DNA umano, ci studiò Gandhi, ecc.., TS Eliot abitava sul campus, ecc.. ecc.. – mentre nelle “league tables” non c’é UNA università italiana!!!); avevo una ragazza di cui ero innamorato follemente ma che era incredibilmente immatura e mi faceva impazzire; la scena musicale di Roma era non-esistente. 

 

Una sera tornavo a casa (a piedi, perché i trasporti a Roma non funzionavano), guardai me stesso e mi resi conto che ero nel “paesaggio” sbagliato. Inoltre volevo fare questa cosa del Rock’n’Roll bene, per me stesso, e quindi decisi di venire a Londra (oltretutto mi avrebbero chiamato per il servizio militare, non mi presentai perché ero già a Londra, divenni ricercato, ecc.. ma quella è un’altra storia). A Londra dopo 2 settimane incontrai Nico (cantante, attrice, ndr) e diventai il suo “boyfriend” (con mia grande sorpresa), ecc.. ecc.. In Italia ci tornerò solo da morto (se non mi gettano in una fossa comune! Ha ha ha ha!)

 

A.A.Vivi da anni in un contesto che ti appartiene, è evidente, fai la musica che hai sempre amato, corretto dire non più punk ma del british blues? Quando hai capito che era questa la musica che avevi dentro? Che è quella che vuoi suonare?

 

R.C.: Io ascoltavo dischi “Beat” a 3 anni. Io non ho scelto di fare musica, la musica ha scelto me. Avevo sempre musica in testa da bambino; credo che feci il mio primo demo-tape a 8 anni. Come disse Hank Williams: “People don’t write music. It’s given to them”. Se una canzone dura 4 minuti, io ci ho messo un minuto per scriverla. È come un download istantaneo. Io “will” le canzoni in esistenza. Di solito trovo un titolo che mi da il “focus” su quello che dice/dirà la canzone e poi quando meno me lo aspetto, la canzone si materializza da sola. Io le arrangio, le eseguo, le incido, ma da dove vengono le canzoni non lo so. A volte le sogno, poi mi devo alzare, accendere la luce, trovarle su chitarra o piano/organo, suonarle più volte o registrarle su una cassetta, ecc.. sperando che poi mi riprende il sonno (cosa quasi impossibile). Non ho pre-concetti. Ripeto: penso ad una cosa, trovo il titolo e poi la canzone appare da sola. Tutte le mie canzoni parlano di persone ed eventi realmente accaduti. Lo dico sempre nelle interviste. Non posso prendere il 100% del “credit” come songwriter. È un processo psichico che accade da quando ero bambino e che non ho mai compreso appieno. Idem per suonare chitarra, basso, piano, organo, batteria, armonica; metto le mani sullo strumento e sembra che già sappia come suonarlo. Mai preso lezioni da nessuno. Ho imparato a fare arrangiamenti orchestrali ascoltando Beethoven (uno dei miei eroi! Lol!). E non scrivo mai la stessa canzone 2 volte. Ma, di nuovo, non so come succede. Dall’inizio sapevo che tipo di musica volevo fare. Per me il 90% della musica Rock è pura mediocrità. Eccetto per Elvis e tutti i “pionieri” degli anni ’50, Doo Wop, i bluesmen citati sopra, Gospel tipo The Staple Singers (poi divenni amico con Pops Staples, come con Ray Charles, John Lee Hooker, ecc..), Lennon, Dylan, Stones, Brian Wilson, Ray Davies, Pete Townshend, The Animals, The Yardbirds (che mi chiesero di cantare con loro nel 2009), Doors, Hendrix, Sly Stone, Lou Reed e i Velvets, Iggy Pop & The Stooges, MC5, New York Dolls, Bowie, Creedence, primo Punk Rock (i primi Modern Lovers, Ramones, Johnny Thunders, Sex Pistols, Richard Hell, Television, ecc..), ‘60s Garage bands, Post Punk tipo Joy Division, ecc.. Ma mi piacciono anche Lucio Battisti, Ali Farka Toure, Jacques Brel (del quale sono l’unico interprete in inglese in questo secolo, per ora, avendo fatto Amsterdam, ma con lyrics in inglese mie e fedelissime alle lyrics originali - e rimando in inglese!), ecc.. ecc... Io non ho mai fatto musica “Punk”, ho sempre fatto Rock’n’Roll e – in versione “solo & acoustic” – la mia “brand” personale di Delta Blues. Non ho idea di cosa sia il “British Blues”. John Mayall? Rory Gallagher? Questi sono musicisti Rock che hanno fatto cose influenzate dal Blues per me. Le mie prime incisioni sono su YouTube, l’album Rob Leer & The Electric Kids (1980-88), e credo che nessuno possa chiamarlo “Punk”. Non avevamo gli strumenti per avere il sound del Punk Rock... era più Garage Rock (che ora chiamano, stupidamente, ‘60s Punk... ma il termine Punk non esisteva negli anni ’60... non per la musica, in ogni caso. E Sex Pistols, Ramones, ecc.. odiavano questo termine “Punk” (cioè uno che fa da “ragazza” in galera, nei USA) e dicevano sempre “We’re a Rock’n’Roll band”. Il film dei Sex Pistols si chiama The Great Rock’n’Roll Swindle, non “The Great Punk Rock Swindle”; il film dei Ramones si chiama Rock’n’Roll High School; un film su Johnny Thunders si chiama The Last Rock’n’Roll Movie, ecc.. ecc..

 


 

A.A.Queste possiamo chiamarle le tue influenze musicali, ma hai dei modelli o miti, se vuoi? Chi sono e cosa pensi di aver preso da loro, se hai preso qualcosa?

 

R.C.: Le influenze l’ho citate sopra. Lou Reed per il linguaggio diretto, realista, urbano. I Velvets come idee più... “tecniche” (la batteria minimalista di Maureen Tucker; il “drone”, feedback, ecc.. di John Cale, preso dalla musica avantgarde); l’usare al massimo il potenziale dell’elettricità, Hendrix e Stooges in particolare; i riff, licks, ecc.. che suono li ho presi dal Blues (soprattutto suonando con accordature aperte e con lo slide), o – con accordature standard - da Chuck Berry, Keith Richards, Johnny Thunders (che mi insegnò un sacco di cose) e Steve Jones che quello stile lo ha... “perfezionato” avendo avuto una carriera più lunga (John è morto nel 1991. Il vero nome era Giovanni Genzale e la famiglia era originaria di Avellino!!! Anche per questo diventammo amici, nel 1986); l’organo Vox preso da Doors, Animals, Garage bands (lo trovai in Montana per £ 800! Fatto nel 1967 nelle fabbriche EKO; la Vox andò “out of business” nel ‘70). Dylan e Leonard Cohen perché includono “biblical imagery” e le parole di Gesù nelle lyrics. Ho 2 voci: il baritono l’ho preso (subconsciamente) da Elvis, Lou Reed, Jim Morrison), il tenore per lo più da Mick Jagger, credo. Il mio bassista preferito credo sia Jack Bruce, ma anche tanti altri. Come armonica decisamente Little Walter e Walter Horton. Suonando tutto io sui dischi (con rare eccezioni; l’album When My Train Comes fu inciso live nello studio con una band acustica: piano, contrabasso, batteria (con le spazzole), alcune percussioni (congas, maracas) ed io col Dobro, armonica e voce. Il tecnico del suono ha fatto il digital remastering dei film dei Beatles – Help, A Hard Day’s Night – con George Martin ad Abbey Rd Studios), ho quindi dovuto crearmi uno stile mio non solo come chitarrista, ma anche come bassista, batterista, l’organo Vox, ecc... Detto questo, la mia musica è molto semplice. Più semplice è e meglio è. Le canzoni che hanno più streams su Spotify, per esempio, sono quelle brevi, uptempo, ecc... Rock’n’Roll, insomma, nonostante le mie numerose ballad e “torch songs” che sono più lunghe e melodiche...



A.A.: Cosa ricordi degli anni dell’adolescenza a Cosenza, senti ancora i tuoi vecchi compagni di scorribande? Quanto di quel ragazzo che a 14 anni schitarrava come un indemoniato e si faceva chiamare Ron Leer?

 

R.C.: Io ricordo tutto quello che vale la pena di ricordare. Contatti con l’Italia pochi. Dal 2009 al 2014 ho suonato sempre a Cosenza a Natale (e anche fuori Cosenza), ma non sono molto in contatto con i 4 membri della band, eccetto sporadicamente, via Facebook, ecc... Loro sono rimasti esattamente come li ho lasciati; io sono completamente UN ALTRO (per citare Rimbaud!!! Ha ha ha ha!!!)

 

A.A.Hai sempre scritto e cantato in inglese forse come omaggio alla musica che suonavi, ora lo fai perché é di fatto la tua lingua, un modulo espressivo quotidiano che ti permette di raccontare la tua quotidianità. Non hai mai sentito l’esigenza di farlo in italiano? Già allora immaginavi la tua vita in una realtà a te più congeniale a partire dalla lingua?

 

R.C.: Ho sempre cantato in inglese perché ho sempre pensato di raggiungere il maggior numero di persone/ascoltatori possibile. L’inglese è la lingua più usata nel mondo e quindi ho sempre cantato in inglese. La maggior parte dei miei fans sono negli USA. Avrei cantato in italiano se fossi rimasto in Italia, forse... non so... L’inglese mi é venuto facilmente e già lo parlavo a 14 anni (anche se con un vocabolario scarso e un accento italiano notevole, suppongo). Avevo una ragazza inglese a Cosenza, a 14 anni, Rowena Sparrow, lol!... E lei non parlava italiano...

 


 

A.A.Il tuo nome d’arte, che poi è di fatto il tuo nome anagrafico, è del tutto plasmato sull’esoticità che hai sempre cercato. Anzi oggi lo trovo ancor più efficace. Casualità, pensiero, progetto, istinto? 

 

R.C.: Rob Leer era un soprannome. Nel ’77/’78 nessuno a Cosenza aveva visto “leather jeans” che io indossavo, eccetto per Amanda Lear in TV (era molto popolare all’epoca, per non parlare di come era... “sexy”, lol! Donna meravigliosa, sono un grande fan!). Quindi a Palazzo Degli Uffici mi prendevano in giro, dicendo “Robbi, figlio di Amanda”; “Lear” diventò “Leer”, il soprannome... “stuck” e così me lo sono tenuto per un po’. Ripeto: lasciai Cosenza appena compiuto 18 anni e finito il liceo... “Rob Leer” era “bullshit”... ho tolto la “o” finale di Roberto perché con Caruso come cognome non volevo che la gente vedendo un manifesto di un “gig”, ecc.. pensasse che cantavo Opera Lirica! Ma del resto anche i miei genitori non mi hanno mai chiamato “Roberto”, ma sempre “Robbi”, con variazioni (Robin Hood, Robespierre, ecc.. Ha ha ha ha!).

 

A.A.Spero di riuscirti a vedere presto e fare di persona quella chiacchierata che non abbiamo mai fatto in passato e fare un po’ di musica insieme, onorando il tempo in cui abbiamo condiviso lo spazio e l’aria. Ma anche la musica che ci unisce.

 

R.C.: Certo, é un piacere... sono molto flessibile col tempo e così mi ripasso anche l’italiano un po’. Quando vuoi. Grazie mille..

 

 


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