Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

24/12/24 ore

“Ricorda con rabbia” all’Ambra Jovinelli, tornano gli “Angry Young Man” di Osborne?



Era il 1956 quando al Royal Court Theatre di Londra debuttava “Look back in anger” di John Osborne. Un anno dopo sarebbe approdato sui palcoscenici italiani, trasformato in “Ricorda con rabbia” da Giancarlo Sbragia, Monica Vitti e Virna Lisi. Oggi è all’Ambra Jovinelli (fino al 14 Aprile) diretto da Luciano Melchionna e interpretato da un cast brillante e coeso, composto da Sylvia De Fanti, Marco Mario De Notaris, Daniele Russo e Stefania Rocca.

 

La storia di “Ricorda con Rabbia” potrebbe essere stata scritta un giorno fa, uno come dieci anni fa. E’ la storia degli “arrabbiati”, degli “sfiniti” dal grigiore della routine. Avvertire la pesantezza della consuetudine, la noia della ripetizione e la vigliaccheria di chi va avanti senza ribellarsi all’assenza di novità è spettato a Jimmi (straordinario Daniele Russo) nella finzione, ma spetterebbe a ciascuno di noi nella realtà.

 

Jimmi non fa altro che urlare, imprecare contro tutto e tutti. Contro la moglie (notevole Stefania Rocca) che in silenzio, non fa che annuire e stirare camicie, trascinata da una nuvola di malinconia in un universo insonorizzato; contro Cliff, fedele amico, che nella vita non oppone resistenza a nulla, anestetizzato da una soporifera ignoranza; contro Elena, l’unica del gruppo lacerata dalle urla strazianti del protagonista, la sola a reagire, rifugiandosi, però, nelle braccia anche troppo accoglienti della chiesa degli anni ’50.

 

Jimmi ha una corte che non lo venera, che non lo recepisce. Si agita urlando tutto il giorno, ballonzola da una poltrona all’altra della “tana” in cui è seppellito, suona il sassofono a tutte le ore del giorno per farsi sentire, per arrivare. Ma non arriva. Chi vive con lui non capisce, impiega una vita a rassegnarsi. Lui, però, continua a gridare, contro l’insofferenza domenicale, l’apatia che trasuda dalle pagine dei quotidiani, l’indifferenza di chi lo circonda e questa infelicità che lo assale dal mattino alla sera.

 

E’ l’uomo-contro, ”intrappolato in un’epoca che non gli appartiene” come recita il testo. E’ un uomo che da solo,però, non può trovare soluzioni, vorrebbe, ma non può farcela. E’ il caso di dire l’unione fa la forza? Ai posteri l’ardua sentenza.

 

Quello che emerge è che non si può lottare per sempre e da soli per giunta. L’essere umano è un animale naturalmente pigro che opterebbe per il letargo ad occhi chiusi. Ed è questa la scelta dei due protagonisti alla fine: chiudersi nella loro gabbia accogliente, “dimentichi del mondo e dal mondo dimenticati”.

 

Banale riconoscere l’attualità del testo, che si abbina a pennello alle diverse realtà sparpagliatesi dagli anni sessanta a oggi. Incoraggiante invece riconoscere come oggi questo testo generi molto consenso. Ad essere arrabbiati sono in tanti. Che qualcosa stia finalmente cambiando?

 

Chiara Cerini


Aggiungi commento