E' dicembre quando una ventitreenne di New Delhi sale su un autobus cittadino assieme ad un suo amico: stuprata, pestata e scaraventata in fin di vita su un marciapiede, la studentessa muore qualche settimana dopo. Sulle bocche delle donne indiane una parola: basta. Le piazza si infiammano, così gli animi, le urla diventano violenza, la violenza diventa promessa e il governo si impegna a far sì che mogli, figlie, madri, sorelle siano protette dalla furente devianza dei loro uomini.
Due mesi dopo, all'alba del 2013, in India la pena capitale per i crimini sessuali è legge. “La condanna a morte sarà prevista come il massimo della pena nei casi di stupro e conseguente morte, o coma prolungato della vittima” dichiara il ministro indiano delle finanze, Palaniappan Chidambaram.
Il decreto, approvato dal presidente Pranab Mukherjee, prevede inoltre il patibolo anche nel caso di una seconda condanna con l'accusa di violenza sessuale o violenza sessuale aggravata e pene più severe contro lo stalking, il voyeurismo e le aggressioni con l'acido.
Attualmente la pena contemplata per uno stupratore va dai 7 ai 10 anni di carcere: con le nuove misure chi stupra potrà essere condannato a 20 anni di carcere se si tratta di violenza collettiva, su minore o perpetrata da chi ricopre una posizione di autorità sulla vittima. Una normativa di cui è palese l'inasprimento, che mira a tutelare diritti inalienabili minacciandone pesantemente altri: una succulenta carota per l'opinione pubblica inferocita, un pesante bastone per chi alla parola giustizia non associa l'omicidio di stato.
E ancora. Secondo i gruppi per la difesa dei diritti delle donne, le nuove contromisure non tengono conto del rapporto presentato dall'ex giudice J.S.Verma, a capo di una commissione per la modifica delle leggi antistupro: l'abuso sessuale da parte del coniuge non è pertanto considerato come un reato e vengono totalmente ignorati tutti quei casi di politici accusati di reati a sfondo sessuale, candidati alle elezioni.
Il potere, sia esso istituzionale che confinato tra le mura domestiche, sembra dunque non essere minimamente intaccato dall'eccesso interpretativo di quella legge del taglione che acceca la mente del popolo, deturpandone il corpo. E per migliaia di donne indiane, spose bambine e non ridotte in servitù da secoli di tradizioni, niente cambia: il pugno che si abbatte è quello del proprio marito e ad accogliere il corpo stuprato è ancora, come sempre, la cucina di casa. (F.U.)
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