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20/04/24 ore

Turchia, cosa nasconde il velo


  • Silvio Pergameno

Il premier turco reintroduce il velo islamico! Data così la notizia si configura quasi come un falso. Erdogan ha varato un nuovo pacchetto di riforme, nel cui ambito c’è anche qualcosa che concerne il famoso velo, peraltro “liberalizzandone” ulteriormente l’uso, prima proibito negli uffici e nelle scuole pubbliche.

 

Il velo/simbolo ha natura religiosa anche nella tradizione cristiana e anche in Francia ha assunto portata politica, con qualche affinità con la battaglia di oggi in Turchia. Siamo al solito discorso del conflitto tra il liberalismo moderato e liberalismo estremista, ovvero quello giacobino, che brandiva la legge e il laicismo come mazze ferrate per demolire le resistenze alla rivoluzione e le eredità del passato. E ancora oggi la Francia risente di questa tradizione quando proibisce l’uso dei simboli religiosi negli edifici pubblici. Ma in Inghilterra o in Italia nessuno guarda se una ragazza va a scuola col velo.

 

In un accostamento di stampo sociologico (perciò astratto e non storicistico), la vicenda della democrazia turca presenta cioè qualche somiglianza con quella parigina, cioè con quelle evoluzioni tendenzialmente democratiche (più che liberali) con le quali le libertà hanno cominciato ad affermarsi attraverso processi rivoluzionari, indispensabili per demolire un potere assoluto profondamente radicato nella società e inestricabilmente connesso con tradizioni religiose stratificate nei secoli.

 

La rivoluzione kemalista nella Turchia degli anni venti del novecento ha imposto la secolarizzazione (che circoli intellettuali già avevano assimilato dalla cultura occidentale) avvalendosi dei poteri dello stato, delle strutture militari e di quelle giudiziarie, proprio per poter arrivare ad eliminare definitivamente il califfato che era sopravvissuto alla sconfitta nella prima guerra mondiale, in cui il paese era stato alleato con gli imperi centrali, grazie a trattative con gli occupanti vincitori (poi sconfitti nella Guerra di Indipendenza turca del 1919-22).

 

In ruolo del partito APK (giustizia e libertà) dell’attuale premier Erdogan si è configurato invece come una forza politica di ispirazione religiosa, ma che accetta la democrazia, una scommessa non certo facile da vincere e alla quale è venuto a mancare il sostegno dell’Unione Europea, che, non essendo in grado di fare politica,ha scritto il suo manuale delle regolette in base alle quali si valuta la democraticità degli stati che chiedono di entrare in Europa e così dal 1950 in poi ha sempre ricavato il clamoroso successo di tenere fuori dalle cosìddette istituzioni europee la Turchia, democrazia forse un po’ alle prime armi, ma paese chiave nei rapporti con il Medio Oriente e in quelli tra i paesi di tradizione cristiana e quelli musulmani.

 

Un partito come quello di Erdogan naviga quindi in acque molto tempestose, sia per la politica interna che nei rapporti con gli stati islamici della zona; e deve per forza barcamenarsi adottando provvedimenti che rispecchiano le contraddizioni proprie della situazione nelle quali la Turchia si dibatte.

 

Ma torniamo al velo. Erdogan si è sempre mosso nel senso di ridurre le proibizioni imposte alle tradizioni musulmane al tempo della rivoluzione kemalista, e allora indipensabili, ma si tratta di misure che sembrano corrispondere più ai caratteri di una democrazia non giacobina che a strumenti di revanche islamistica.

 

Il premier turco ha così in questi giorni abolito le ultime proibizioni di portare il velo in uffici pubblici, tranne che nell’ambito delle istituzioni militari, di quelle di polizia, di quelle giudiziarie e per i rappresentanti delle procure della repubblica (misura molto significativa, perché salvaguarda la secolarizzazione nei luoghi nei quali poteri burocratici e non elettivi operano direttamente in base a leggi e regolamenti, dove l’ abbigliamento - la divisa e la toga - sono stabiliti dalla legge e dove la stessa sfera delle scelte personali non ha spazi, perchè se il potere e il suo esercizio non sono arbitrari esistono però soltanto i limiti stabiliti dalle leggi).

 

Erdogan ha poi emanato, insieme con la liberalizzazione del velo, altri provvedimenti rilevanti: ha abolito il canto mattutino dell’inno nelle scuole (non sembri cosa da poco, perché il kemalismo era fortemente nazionalista) e ha, soprattutto, migliorato i rapporti con la popolazione curda, che rappresenta un quinto circa di quella complessiva della Turchia: è stato promesso l’abbassamento della soglia del 10% in materia elettorale, che impedisce di fatto l’ingresso del partito curdo in Parlamento, ha consentito l’uso del curdo nelle scuole private, ha ammesso al finanziamento pubblico i partiti che superano il 3% alle elezioni.

 

Poco? certamente i curdi si aspettavano molto di più e soprattutto la possibilità dell’uso del curdo anche nelle scuole pubbliche e maggiori autonomie amministrative. Siamo di fronte a un processo di re-islamizzazione autoritaria della Turchia e di guerra alla secolarizzazione?

 

A giudicare da queste misure si direbbe proprio di no (consentire ai cittadini di vestirsi a loro gusto appare una misura di democrazia liberale), anche se poi esistono altri aspetti della politica di Erdogan che costringono a riflettere su rischi di un percorso che può forse manifestare tendenze autoritarie.


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