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17/11/24 ore

Tibet, 55 anni di paura e repressione


  • Francesca Pisano

E' il 1949 quando Mao Tze Tung, carismatico leader, decide che il Tibet sarebbe stato inglobato nella grande nella grande nazione comunista, per “liberarlo dalla tirannia dei monaci e del Dalai Lama”. Il tetto del mondo, fino ad allora oasi di pace, viene invaso l'anno dopo e incorporato nella Repubblica popolare cinese.

 

Seguono anni di coesistenza tra il Governo tibetano e le autorità di Pechino, anni in cui la Cina rimane cauta, pronta a garantirsi il controllo militare, logistico e politico del Tibet fino a quando, nel 1956, nella parte orientale del paese vengono imposte 'riforme democratiche': la rivolta anticinese ha inizio e, con essa, la dura repressione; il Dalai Lama chiede l'asilo politico all'India.

 

Nel 1959, poi, la tragedia: il 10 marzo l'opposione tibetana all'invasore cinese culmina con la rivolta di Lhasa: decine di migliaia di tibetani, quasi 87.000, vengono uccisi, altrettanti imprigionati, i monasteri si spopolano, oltre 6000 di essi vengono distrutti, e moltissime proprietà dei monaci vengono saccheggiate. Il Dalai Lama e altri funzionari del governo si esiliano in India, ma alcuni gruppi di resistenza continuano la lotta in patria.

 

Oggi cade il 55° anniversario di quella drammatica data, un giorno in più di sofferenza e paura per gli abitanti del Tibet, dove le proteste vengono quotidianamente soffocate dalla polizia cinese che ha isolato totalmente la regione, nella quasi piena indifferenza della comunità internazionale. Non resta allora che darsi fuoco, bruciare per una terra abusata, come continuano a fare giovani monaci e attivisti tibetani.

 

Per questo motivo ieri, in piazza a Roma, Radicali Italiani, assieme all'Associazione Italia- Tibet e alla Comunità Tibetana in Italia, ha organizzato una manifestazione in onore di un popolo la cui esistenza, la millenaria tradizione, l' autonomia sono in costante pericolo. Un'iniziativa mirata a celebrare i caduti dell'insurrezione di Lhasa, ma anche ad esigere il rispetto di un'identità, per far ascoltare la voce di milioni di donne e uomini che da anni vivono di repressione e terrore.

 

Come disse tempo fa il leader tibetano, Tenzin Gyatso, bisogna auspicare la coesistenza e l'amicizia con i cinesi, ottenibile solo con l'autonomia; e la ricerca di quest'ultima, naturalmente, non prescinde dalla 'via di mezzo', la lotta nonviolenta.

 


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