Con 239 voti favorevoli e 92 contrari la Camera si è espressa, con scrutinio segreto, a favore del testo sul doppio cognome, approvando così il tramonto dell’obbligatorietà del cognome paterno. Il Parlamento sta, dunque, rispondendo alla sentenza di condanna della Corte Europea dei diritti dell’uomo con un adeguamento dell’ordinamento, seppure con effetti non completamente immediati.
Furono i coniugi milanesi Fazzo-Cusan a portare la loro battaglia dinanzi alla Corte di Strasburgo, che il 7 gennaio 2014, dando ragione alla coppia, ha giudicato discriminatoria la disparità di trattamento denunciata. La vicenda ha inizio nel 1999, quando la coppia ricevette un rifiuto da parte dell’anagrafe rispetto alla richiesta di registrare la figlia Maddalena, appena nata, con il cognome materno. Ad un ricorso al tribunale di Milano è seguito l’approdo del caso alla Corte Costituzionale e il pronunciamento della Cassazione.
In previsione del passaggio al Senato si attende un momento di confronto non privo di polemiche, come già suggerisce l’hashtag #Senatoaffossala sguinzagliato da Stefania Prestigiacomo. L’onorevole di Forza Italia ha, infatti, definito un’assurdità il criterio di ordine alfabetico che dovrebbe essere applicato ai doppi cognomi nei casi di mancato accordo fra madre e padre, percependo in questa modalità la completa abdicazione alla responsabilità genitoriale.
Le reazioni delle parti politiche sono risultate, in ogni caso, piuttosto eterogenee: chi ha analizzato l’approvazione della Camera nei termini di un passo avanti verso il superamento di una società ancora intrisa di residui patriarcali o chi, piuttosto, ha gridato ad un imminente “caos burocratico” come risultato di un’estrema superficialità nella valutazione dei costi e delle problematiche conseguenti, a partire dalla modifica del codice fiscale. Infatti, anche se il testo di legge prevede che tutti i figli degli stessi genitori portino il cognome scelto per il primo, non è esclusa l’eventualità di fratelli con cognomi diversi, data la liberalizzazione e relativa facilitazione della scelta del maggiorenne che potrà, di fatto, decidere di aggiungere il cognome mancante con una dichiarazione all’ufficiale di stato civile.
Il confronto politico è, inoltre, maturato alla luce di un dibattito più ampio che ha inevitabilmente coinvolto differenti punti di vista in merito al significato di condivisione familiare, una comunione affettiva che in quanto tale non può essere ridotta in modo semplicistico al formale e antico retaggio del cognome paterno. Non sono mancate, inoltre, obiezioni da parte dei contrari a proposito di quella che è stata percepita come un’estrema esasperazione dell’individualismo, che, però, da un punto di vista differente non è altro che la vittoria sul piano dei diritti civili del principio di autodeterminazione.
Ludovica Passeri
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