In tempi di crisi si tratta della più classica delle guerre fra poveri: da un lato i tassisti, nel disperato tentativo di difendere il proprio status sempre meno redditizio, dall’altro i nuovi figli della crisi, a caccia di lavori nuovi per raccogliere le briciole, dopo averne perso magari un altro nella pericolosa età di mezzo.
Ma per fortuna non sempre le nuove tecnologie tolgono lavoro. A volte, grazie ad esse ci s’inventa nuovi modi per guadagnare fornendo servizi alla collettività, laddove il servizio pubblico tradizionale è carente e costoso, proprio perché anticoncorrenziale.
In questi casi, soprattutto in Italia, novità del genere destabilizzano e minano la quiete creata ad hoc da un sistema di regole protettivo. Il legislatore, sorpreso e lento nel rispondere alle nuove esigenze e ai mutamenti socio-economici, si fa così scavalcare dal potere giudiziario, che codice vecchio alla mano decide, in presenza di un vuoto normativo, di difendere lo status quo.
Così, nel Paese delle corporazioni, dove in ogni settore professionale s'impedisce sistematicamente lo sviluppo di un sano gioco concorrenziale, capita di trovarsi di fronte al caso paradossale di “concorrenza sleale” nei confronti di chi agisce in settore protetto dalla concorrenza, fra numero chiuso e tariffe bloccate.
Proprio per questo, la sentenza del Tribunale civile di Milano che ha messo fuorilegge e bloccato il servizio taxi faidate UberPop potrebbe essere motivata piuttosto con l'ipotesi di “concorrenza illegale”. Nel senso che fare concorrenza è un reato.
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