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17/05/24 ore

Matrimoni gay, Irlanda fuori dai canoni


  • Silvio Pergameno

L’Irlanda è considerata cattolica all’85 per cento circa, ma meno di un terzo degli irlandesi è (più o meno) praticante; pur tuttavia il 62% dei votanti al referendum di ieri 24 maggio ha approvato la legge sul matrimonio gay, nel quale pieno è il contrasto il contrasto con il diritto canonico, per il quale (canone 1055) “Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la domma stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento”.

 

Un matrimonio tra persone dello stesso sesso quindi appare inammissibile per le leggi della Chiesa cattolica - soprattutto poi se si pensa alla rilevanza della finalizzazione della procreazione e alla portata della consumazione.

 

Dalla norma canonica che abbiamo riportato risulta anche il fatto che la definizione del matrimonio che ivi si legge ha carattere generalissimo, mentre il Codice canonico intende dettare disposizioni soltanto per il matrimonio tra battezzati, cui viene conferita dignità di sacramento, con le conseguenze che questo comporta.

 

In poche parole, che in un paese, cattolico per eccellenza come l’Irlanda, il matrimonio gay sia stato approvato dalla popolazione, rappresenta un problema della massima rilevanza per la Chiesa cattolica, anche se dalle notizie date dalla stampa risulta che la questione è bene all’attenzione delle stesse autorità religiose locali, che dimostrano la volontà di trovare delle forme di apertura, quanto meno sul piano sociale, affinché ai gay sia riconosciuta pari dignità sociale e parità di diritti con tutti i cittadini.

 

Papa Bergoglio ha dovuto affrontare un problema di pari rilevanza a proposito dell’aborto, e la sua risposta è stata fondata sulla distinzione (già formulata da papa Giovanni XXIII) tra peccato e peccatore: il fatto che la Chiesa condanni certi comportamenti umani come peccato non comporta necessariamente un trattamento di reiezione della persona che nella mancanza è incorso. La misericordia e la bontà divina sono infinite e l’uomo non ha il diritto di mettere le mani negli imperscrutabili confini della provvidenza.

 

E’ chiaro: non si tratta di una posizione liberale, ma rappresenta un passo avanti nell’evoluzione delle posizioni cattoliche, che comporta un ben diverso approccio pratico di fronte a problemi ampiamente sentiti nella generalità delle popolazioni. Di fatto si evita uno scontro, si confida nello scorrere del tempo e si consolida un approccio di carattere empirico, emarginando, di fatto, quello ideologico, giuridicamente rigoristico. Non è poco, perché nella percezione comune il messaggio cristiano è colto come amore e carità verso il prossimo, laddove il rigorismo dottrinario appare come manifestazione di potere e di autoconservazione del potere. Si dà luogo, di fatto, a un’apertura verso la società civile, destinata a maturare, indirettamente, anche sul piano politico.

 

Non possiamo, noi radicali, a questo punto tentare un parallelo con quanto avvenne in Italia il 12 e 13 maggio 1974, esattamente quaranta anni fa, quando il clericalismo temporalistico dominante negli ambienti cattolici italiani, aveva portato al referendum sulla nuova legge sull’interruzione della gravidanza e si era risolto nella netta vittoria del “no” all’abrogazione (anche in Italia col 60% dei suffragi). E fu una sconfitta del temporalismo, che ebbe un riflesso politico macroscopico: iniziò da quell’evento una crisi, dalla quale la Democrazia cristiana non fu più in grado di risollevarsi. Senza ignorare la complessità dei terreni di scontro e di incontro del panorama politico italiano, non si può non ammettere che il referendum sul divorzio aveva avuto la portata di far emergere l’aspetto conservatore della DC e il fatto che il rilievo politico del conservatorismo in Italia – anche nella sensibilità popolare - passava meno per le questioni economiche che per le battaglie in materia di diritti civili.

 

Entrava così in crisi – di conseguenza - il patto non scritto tra DC e PCI nella premessa tutt’altro che culturale del famoso e “dialogo con i cattolici”, che per Togliatti aveva rappresentato uno dei passaggi fondamentali della via “nazionale (italiana) al socialismo” (o meglio al comunismo). Con quel che è venuto dopo.

 

 


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