Lo scandalo soprannominato "Mafia Capitale" è, nella vulgata, un affare tra criminali poco accorti e politici corrotti, fondato sulla gestione di alcuni campi nomadi e centri d'accoglienza tramite cooperative in cattiva fede e i contatti di un personaggio "nero". Sempre secondo la vulgata, i corrotti sono ormai stati assicurati alla giustizia: la città è governata da personalità al di sopra di ogni sospetto e i cittadini non hanno nulla da temere.
Bisogna solo intraprendere le "buone politiche" per impedire che la situazione attuale perduri. Purtroppo la realtà è diversa, e se il lettore ne fosse a conoscenza troverebbe piuttosto irritante il modo in cui la vicenda viene rappresentata. Le inchieste in corso mostrano un giro d'affari complesso, non localizzato unicamente intorno ai campi nomadi, ma a tutta l'emergenza alloggiativa in genere, a cominciare dalle palazzine occupate; hanno un ruolo centrale anche alcuni "movimenti per l'abitare".
Può essere utile allora sottolineare alcuni aspetti che sfuggono costantemente alla rappresentazione generalista. L'indagine nasce da un'intuizione del magistrato Pietro Saviotti (uno degli uomini di cui più la Repubblica italiana ha motivo di andar fiera per meriti troppo lunghi da elencare in questa sede), oggi purtroppo scomparso, che a suo tempo trasmise un'informativa al Ros di Roma; e così come Pietro Saviotti si avvicinava, da un lato, alla verità, accadeva qualcosa di simile ai due poliziotti Pascale e Fierro, che nel 2003, indagando sul narcotraffico, si erano imbattuti nelle stesse rivelazioni ora emerse grazie alla operazione "Mondo di Mezzo" e raccontano di essere stati "bloccati" nel portare avanti le operazioni.
Una vicenda che fa riflettere sotto molti punti di vista. Pascale e Fierro indagavano a Ostia, ed è lì che avevano individuato l'epicentro del sistema di corruzione. Sia loro che Saviotti arrivano partendo da direzioni diverse a "Mafia Capitale", indagando su altro. Il racconto dei due poliziotti, comunque, è emblematico. Per molti anni, la mafia a Ostia è stata effettivamente un tabù, ma oggi, grazie all'efficiente lavoro della procura, questo velo inizia inesorabilmente a cadere.
Operazioni come "Nuova Alba" (2013) e "Tramonto" (2014) illustrano un sistema mafioso, che vede coinvolto il mondo della malavita al pari di quello di alcune istituzioni, orientato al controllo capitale del territorio. E' lì l'epicentro di Mafia Capitale: un'informativa di dieci anni prima; due operazioni importanti negli ultimi due anni, di cui la prima ha portato in carcere 51 persone nei giorni scorsi per associazione a delinquere: senza contare le altre vicende che approfondiremo in seguito. Eppure, l'attenzione mediatica è stata spostata da Ostia a Roma fino all'ultimo. Perché?
Tra le pagine meno note dell'inchiesta figurano infatti arresti fortemente voluti sia da Pignatone che da Tescaroli, il quale era a suo tempo al fianco di Saviotti, in merito all'occupazione dello stabile di via del Dragoncello a Ostia. In base alla ricostruzione della procura, sembra che per gli arrestati fosse d'importanza capitale essere nelle grazie dell'ex assessore alla casa Daniele Ozzimo, oggi dimissionario in seguito al suo coinvolgimento nelle indagini (e attualmente agli arresti), stando alle quali Ozzimo aveva un ruolo centrale negli interessi sulle case occupate.
Tanto che si diceva – in tempi non sospetti – che Ozzimo fosse andato "a ripetizioni" da alcuni leader delle occupazioni per l'elaborazione del piano casa, subito dopo la sua nomina. Vicende come quella del "Comitato popolare lotta per la casa" appaiono particolarmente squallide: vessazioni, estorsioni, racket e abusi in cambio di posti negli stabili occupati. Un quadro di cui a Roma si vociferava da anni, ma che in questa storia assume rilievi impressionanti: sempre secondo la procura, il voluminoso giro d'affari del Comitato per la casa (accusato di associazione a delinquere) si fondava su cospicue estorsioni ai danni degli abusivi. I fatti dello stabile di via del Dragoncello a Ostia sono collegati a quelli dell'occupazione dell'Angelo Mai, per via di dinamiche analoghe imputabili ai medesimi soggetti. L'Angelo Mai è il fulcro delle intercettazioni che videro coinvolto l'ex vicesindaco Luigi Nieri già nell'aprile dello scorso anno, in cui il vicesindaco avrebbe rassicurato gli occupanti in merito allo sgombero dello stabile, promettendo che avrebbe "forzato la mano" del tribunale.
Il 25 luglio la nuova ondata di arresti nell'ambito dello scandalo "Angelo Mai"; di pochi giorni prima, la nota di dimissioni di Luigi Nieri, il quale lamenta ingiusti attacchi da parte della stampa alla sua persona. omunque la coincidenza delle dimissioni di Nieri con i suddetti arresti e con il fatto che, oltre alle già citate intercettazioni, le circolari firmate dall'ex vicesindaco compaiono nell'informativa della procura.
Ma torniamo a Ostia. Il presidente del X Municipio, Andrea Tassone (PD), rassegna le sue dimissioni a marzo. Ora è agli arresti domiciliari, ma le sue dimissioni furono a lungo incerte nella scorsa primavera, quando l'ex presidente comunicava di essere al lavoro con il Campidoglio per valutare i margini del proseguimento della sua esperienza amministrativa, nonostante già a dicembre fosse emerso dalle intercettazioni il contatto diretto con Salvatore Buzzi, il cui commento alle richieste di Tassone è ormai celebre: "Se la mucca non mangia, non può essere munta".
L'esitazione del Campidoglio nell'accogliere le dimissioni di Tassone fa riflettere se si considera quanto è accaduto all'ex assessore alla scuola Masini, il quale oltre ad avere un raro profilo al di sopra di ogni sospetto gode piuttosto di stima tanto ampia che le sue dimissioni hanno scatenato una vasta ribellione sui social network, al grido di "Io sto con Masini". Eppure, Marino ha chiesto a Masini di fare un passo indietro, a differenza di quanto accaduto a Tassone, il quale andava a pranzo con Buzzi per discutere di affari: con lui Buzzi si mostra a tratti perfino deferente.
Da uno stralcio d'intercettazione, si può notare che, nel discutere i dettagli di un pranzo nei pressi del municipio di Ostia, alla domanda di Tassone "A che ora?" Buzzi risponde: "Eh, l'ora che vuoi tu, io... ubi maior minor cessat". Dimessosi Tassone, immediatamente Marino dà la delega per Ostia all'assessore alla legalità Alfonso Sabella, cui affianca Silvia Decina, sua caposegreteria, benché anche lei figuri nelle carte dell'inchiesta "Mafia Capitale".
Sabella è stata spesso oggetto di polemiche per via dei fatti di Bolzaneto: tuttavia, al di là delle critiche più o meno legittime, è interessante notare come la stessa Decina si trovasse fra gli occupanti al momento degli sgomberi dell'Angelo Mai, ordinati dalla procura in seguito al succitato scandalo riconducibile proprio alle gravi vicende di Ostia. E' quindi difficile comprendere le logiche con cui Marino starebbe lottando per spezzare una sgradevole continuità.
Colpisce per esmpio la nomina del vicecomandante Antonio Di Maggio a capo dei vigili del litorale, benché i recenti fatti di via di Salone e de La Rustica mostrino come la "questione Rom" continui ad essere di sua stretta competenza, come avvenuto dai tempi di Veltroni fino ad oggi, nonostante il suo trasferimento. Personalità certamente emblematica della continuità politica e coinvolto anche lui nelle intercettazioni con Salvatore Buzzi, il vicecomandante Di Maggio è stato denunciato due volte nell'ultimo anno per via delle modalità con cui vengono effettuati gli sgomberi dei campi nomadi nella Capitale.
Come si può notare dall'allarme lanciato dalle famiglie dell'Idroscalo e ripreso da Ostia TV, la nuova gestione Sabella-Di Maggio si inaugura proprio con la preoccupazione per uno sgombero dai contorni poco chiari. Nella nota della Comunità Foce del Tevere si legge infatti: “Si tratta della famosa quanto fantomatica ‘lista di proscrizione’ che è sempre stata negata dal Dipartimento delle Politiche Abitative e che non solo è nelle loro mani, ma è oggetto di incontro tra i dipartimenti e le forze di polizia. Viene riconfermato anche oggi il fonogramma che mette in allerta l’Ama per uno sgombero che avverrà nelle prossime settimane (forse in due fasi), all’Idroscalo di Ostia... Inoltre, è stato chiesto alle persone sgomberate il 23 febbraio 2010 di svuotare i container nei quali sono stati riposti in tutti questi 5 anni i loro beni, perché hanno necessità di liberarli quanto prima. Ricordiamo che questa vicenda è stata una delle pagine buie dell’illegittimo sgombero ad opera di Alemanno e di Antonio Di Maggio, il Di Maggio attuale capo dei vigili del Litorale. L’area, di proprietà privata, viene pagata dal Comune di Roma”.
Nonostante tutto questo, non sembra che i metodi e i referenti scelti da Marino diano alcun segnale di discontinuità; anzi, verrebbe quasi da dire: "stessa spiaggia, stesso mare". Se da un lato la strategia, seppur suscettibile di critiche nel merito e nei principi, sembrerebbe quella di risolvere il problema delle infiltrazioni mafiose commissariando nei punti nevralgici, dall'altro questo stesso metodo sembra a sua volta viziato da tratti palesi di continuità. Il caso di Ostia ne è un esempio perfetto.
Con i campi nomadi, in ogni caso, una strategia di commissariamento tramite "uomini soli al comando" appare inattuabile, perché in seguito all'eco mediatica e all'addio dell'assessore alle politiche sociali Rita Cutini, la quale lamentava "maglie larghe che avevano lasciato spazio per il malaffare" – parole del tutto simili a quelle dell'assessore al Bilancio Silvia Scozzese, che ha motivato le sue dimissioni con una "mancanza di correttezza" e il continuo ricorso all'affidamento diretto nella gestione degli appalti – l'arrivo dell'assessore Francesca Danese, non solo estranea agli scandali ma finita persino sotto scorta dopo aver subito minacce, è stato una benedizione per l'immagine della giunta Marino.
La Danese dunque, le cui politiche si pongono sempre più come l'antitesi di una gestione commissariale, ha un ruolo vitale nella sopravvivenza dell'attuale giunta, tanto da essere uno dei pochi nomi sopravvissuti al rimpasto. La tentazione di togliere, tuttavia, la questione di mano alla Danese c'è stata, eccome: ed è in quella direzione che ancora procede, benché evidentemente fuori tempo massimo, la delibera d'iniziativa popolare proposta dal consigliere della Lista Civica Marino e presidente di Radicali Italiani Riccardo Magi, dal presidente dell'Associazione 21 Luglio Carlo Stasolla e dal segretario dei Radicali Roma Alessandro Capriccioli, un progetto apprezzato dal sindaco Marino quando fu proposto nel dicembre scorso, ben prima della bufera di questi giorni, dalle dichiarazioni di Sabelli alle esternazioni di Salvatore Buzzi, che hanno inevitabilmente portato il primo cittadino, nel corso dell'audizione con l'assessore Danese, a elencare le difficoltà nel merito del superamento dei campi nomadi e a sposare, di fatto, la linea dell'assessorato. La delibera prevede infatti un "ufficio nell'ambito delle strutture e delle responsabilità facenti capo al Sindaco di Roma Capitale".
Secondo quanto spiegato dallo stesso Magi, l'ufficio in questione, che inizialmente avrebbe dovuto essere gestito da un delegato del sindaco, sarebbe materialmente condotto da un impiegato comunale dipendente unicamente dal primo cittadino. Questo assicurerebbe una continuità nella gestione dell'emergenza alloggiativa secondo le modalità sopra descritte: al commissariamento di Ostia dopo lo scandalo delle occupazioni seguirebbe quello della "questione Rom" finita al centro dello scandalo. L'assessore Danese rimarrebbe al suo posto, ma perderebbe ogni competenza sui campi nomadi. Allo stesso tempo, la mancata apertura del Tavolo istituzionale presso l'assessorato previsto dalla Strategia Nazionale d'Inclusione impedirebbe l'accesso ai fondi strutturali europei e, di conseguenza, le annose procedure di trasparenza per ottenerli, consentendo piuttosto il ricorso al denaro comunale sotto il controllo del solo sindaco. La gestione, in questo modo, competerebbe unicamente a Marino, il quale si è distinto per il numero di sgomberi in violazione delle leggi vigenti in materia di diritti umani, come denunciato da Marco Pannella, insieme a Rita Bernardini e all'avvocato Vincenzo Di Nanna (segretario di Amnistia, Giustizia e Libertà Abruzzi) alla procura della Repubblica, ricevuto dallo stesso Giuseppe Pignatone il mese scorso.
Marino ordinò il primo sgombero, appena eletto, proprio per ricondurre una comunità Rom fuggita dal campo gestito da Salvatore Buzzi nel luogo da cui era scappata: la comunità, che non si arrese al trasferimento forzato neanche dopo lo sgombero, fu poi vittima di un raid le cui modalità violente sono state documentate e denunciate, condotto dal vicecomandante della polizia municipale Antonio Di Maggio. In quei mesi, Marino annunciava che avrebbe versato il suo primo stipendio da sindaco alla cooperativa dello stesso Buzzi. L'entusiasmo con cui Magi pubblicizza l'iniziativa "Accogliamoci" appare pertanto poco comprensibile, almeno quanto il continuo sostegno a Marino e il mancato sostegno alla denuncia di Pannella.
Le delibere proposte sono due, una sui campi nomadi e una sui centri d'accoglienza. Quest'ultima prevede: "centri di piccole dimensioni diffusi sul territorio": benché non sia chiaro come il moltiplicarsi dei centri andrebbe a vantaggio dell'inclusione sociale, è evidente invece come andrebbe a vantaggio di chi gestisce i centri. E stupisce che Carlo Stasolla non lo abbia notato, avendo lui stesso gestito centri per anni con il Centro Astalli, presso il quale ricopriva ancora il ruolo di coordinatore nel 2013 (centro per famiglie e minori Pedro Arrupe), nonostante l'Associazione 21 Luglio si sia costituita il 6 aprile 2010.
Questo è significativo soprattutto se si considera che i metodi denunciati oggi nella gestione dei centri d'accoglienza non sono affatto una novità: basti pensare che, nel 1993, l'allora assessore regionale agli Enti locali e Servizi sociali Laura Scalabrini dichiarava: "Il 'Centro Astalli' ha messo letteralmente sul lastrico i suoi 60 ospiti, e la Provincia ha informato la polizia per gli opportuni interventi di legge... Al Centro Astalli, sempre per continuare con quell' esempio, abbiamo dato 94 milioni. Questo centro sono andata a visitarlo d' improvviso, una sera di meta' giugno, e invece di trovare dentro le 60 persone previste ne ho trovate meno di 3O".
Sembrano le cronache dell'odierno scandalo, invece parliamo di oltre vent'anni fa: suona strano quindi che chi fino a ieri era coordinatore dei centri per il Centro Astalli non realizzi la pericolosità di certi meccanismi, e risponda duramente alle critiche di associazioni virtuose come Romni ONLUS o la Federazione Rom e Sinti Insieme, che protestavano in quanto la delibera escluderebbe la rappresentanza Rom come componente istituzionale violando di fatto la Strategia, affermando con forza sui social network che "bisogna azzerare ogni rappresentanza Rom". Superare i campi nomadi è un'obiettivo irrimandabile, e il coinvolgimento della cittadinanza uno strumento necessario per giungere a un superamento effettivo del ghetto come luogo interiore, prima ancora che come spazio concreto di marginalizzazione; tuttavia, forse sarebbe opportuno riflettere sul fatto che talvolta il vecchio adagio non ha torto, quando afferma che "la strada per l'Inferno è lastricata di buone intenzioni".
Il superamento dei campi nomadi, del resto, affinché possa essere concreto, necessita di quel complesso lavoro di concerto (il termine "cabina di regia" non potrebbe essere più adatto, considerata l'intricatezza del copione) previsto appunto dalla Strategia d'Inclusione Nazionale. Per dipingere le difficoltà reali in modo sintetico, lontani dagli slogan e dalle pupazzate, può essere utile camminare su un terreno esemplificativo. Prendiamo tre residenti nei campi nomadi: Gino, Sinto italiano d'origine piemontese; Sasha, Rom harvato di origine serba; e Ljuba, Rom korakané kosovara. Gino è un ex giostraio. La sua giostra prende polvere nel campo in cui vive, ed è impossibilitato a spostarsi per via di lungaggini burocratiche nei permessi, a differenza ad esempio dei suoi colleghi abruzzesi; al mattino si alza e va a raccogliere il ferro, incontrando altrettante difficoltà burocratiche nella regolarizzazione della licenza del furgone, che ha un costo troppo elevato rispetto a quanto effettivamente guadagna dagli spacci che comprano la sua merce. Non ha nessuna voglia di vivere in una casa, e preferirebbe riprendere il mestiere tradizionale, tanto più che i bambini adorano le giostre e nonostante la crisi guadagnerebbe quanto basta per sfamare la famiglia e arrivare a fine mese. La logica del "superamento dei campi", per Gino, non sussiste. E' necessario un intervento sul piano della legislazione locale che gli consenta di immettersi nel mercato con la sua professione e di poter sostare legalmente nel territorio laziale in apposite aree di sosta, come previsto dal documento presentato dal Parlamento italiano e ratificato dall'Unione Europea nel 2012, e come già sottolineato dal Rapporto del Senato del 2008 redatto quando il senatore radicale Marco Perduca era segretario della commissione diritti umani, il quale portò per primo il direttore dell'UNAR Massimiliano Monnanni in un campo nomadi capitolino proprio per presentare la suddetta Strategia Nazionale, insieme all'on. Rita Bernardini, in un convegno organizzato da Gianni Carbotti e da chi scrive.
Per Sasha, la situazione è completamente diversa: stanziale, abitava a Sarajevo prima della guerra ed era proprietario di un piccolo ristorante. Le bombe hanno distrutto la sua casa, e dopo essere emigrato in Italia lavora a tempo indeterminato presso una cooperativa sociale. Sono anni che è in lista per la casa popolare, come molti italiani; non trova un appartamento in affitto, perché è zingaro: inoltre ha fatto domanda per un mutuo a una banca che offre agevolazioni per le persone nella sua condizione ma, nonostante il presidente della cooperativa si sia offerto di fare da garante, l'istituto bancario, appurato che il richiedente abita in un campo nomadi, ha rifiutato il mutuo perché le garanzie non sono sufficienti. Superare i campi, per Sasha, è un attimo: basterebbe sbloccare le graduatorie o dare agevolazioni fiscali a una banca.
Ma per Ljuba non è affatto così semplice. Fuggita in preda al terrore dai bombardamenti e dallo stupro etnico nel Kosovo, dove abitava in un villaggio lontano dal centro abitato, si è ritrovata in Italia rinchiusa in un campo. I suoi otto figli non vanno a scuola, parla a stento l'italiano, il marito è in prigione e lei va in giro a chiedere l'elemosina. Non è ancora riuscita a regolarizzare i suoi documenti. Perché Ljuba intraprenda un percorso d'inclusione sociale (cosa che sarebbe dovuta iniziare negli anni Novanta, ma non è mai troppo tardi) e lo porti a termine con successo, saranno necessari tempo, denaro ed energie da parte dell'amministrazione e anche da parte di Ljuba; i quattro assi previsti dalla Strategia, la mediazione della rappresentanza Rom accreditata per la stessa e gli ingenti finanziamenti europei sono lì per questo.
Al di là di ogni valutazione, ciò che resta è la disperata solitudine di una minoranza che dovrebbe accedere a percorsi d'inclusione sociale per cui sono disponibili da anni ingenti fondi europei, che spettano di diritto a un popolo di otto milioni di contribuenti d'Europa che non possiede uno Stato.
Da trent'anni a Roma ogni giorno il sole cala su luoghi di segregazione razziale desolati e degradati, sui volti di anziani che non hanno mai conosciuto una vita lontana dalla discriminazione e di bambini che si affacciano al mondo percependo per prima cosa l'ostilità dell'ambiente che li circonda; sugli sguardi carichi di rabbia repressa di intellettuali, artisti e poeti Rom come Santino Spinelli che hanno espresso in versi indimenticabili, incisi sul marmo del monumento berlinese allo sterminio nazista dei Rom, un dolore che taglia le epoche e lascia senza fiato, e che nonostante trent'anni di denunce inascoltate lottano ancora per avere voce, per essere quella rappresentanza Rom che oggi si vuole ancora una volta azzerare "tutelando" i Rom anziché, per una volta, ascoltarli.
Camillo Maffia
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